All’anagrafe Germano D’Aurelio, ma per tutti Nduccio, il comico, cabarettista, musicista e cantautore di origini abruzzesi si racconta tra carriera, vita privata e solidarietà.
Che infanzia ha avuto?
Da bambino sognavo di fare il contadino e per gioco passavo interi pomeriggi a zappettare l’orto sotto casa, senza tralasciare la passione per la musica. Quando pioveva oppure era buio, suonavo una minuscola fisarmonica, era un regalo della Befana.
Suo padre è stato vittima del lavoro quando lei era poco più che un ragazzino. Proprio per questo ha portato la sua testimonianza nel corso di un convegno di Confindustria sulla sicurezza sul lavoro?
Nonostante gli anni la ferita è ancora aperta. Non perdo mai occasione per richiamare l’attenzione sul tema della sicurezza sul Lavoro. Ad oggi purtroppo le vittime sono tantissime ed è uno strazio assistere oltre al dolore, al disagio di tante famiglie con minori, davanti alla morte di un padre, a volte neanche coperto da assicurazione.
Per circa trent’anni è stato dipendente alla Sip e poi alla Telecom. Dopo cosa è successo?
Prima e dopo la parentesi “telefonica” ho sempre svolto l’attività che mi ha sempre appassionato e devo dire anche gratificato. Dopo 30 anni non sostenevo più i ritmi dell’ufficio insieme a quelli sempre più incalzanti del palco, così ho avuto il coraggio di abbandonare il “sicuro” per “l’insicuro”, ovvero il lavoro di artista. Una decisione difficile, tormentata, che mi ha regalato più libertà e soddisfazioni, ma anche timori di insicurezze economiche. Ormai è andata, ed è andata bene così.
Nel corso della sua carriera ha avuto diversi incontri importanti, come quelli con Mogol, Renzo Arbore e Roberto D’Agostino. Ci racconti qualche aneddoto
Ringrazierò a vita Roberto D’Agostino per avermi dato l’opportunità di conoscere il maestro Renzo Arbore. Roberto gli diede il mio numero e un giorno, inaspettatamente, Renzo mi chiamò al telefono. Pensavo fosse uno scherzo di un imitatore e non gli ho dato troppo retta, fin quando lui mi disse: “Adesso ti dò il mio numero di casa, così mi chiamerai e (ridendo) ti vergognerai…”.
Lei ha sposato diverse cause umanitarie ed ha fondato anche la onlus “Fratello mio” per portare scolarizzazione in Togo. Come nasce questo desiderio di aiutare il prossimo?
Provengo da una famiglia cattolica e ho ricevuto un’educazione che definisco profondamente cristiana. A questa ha fatto seguito l’incontro con Marco Pannella e Rita Bernardini da cui ho imparato molto. L’impegno sociale e civile non può sottrarsi alla fondamentale legge di Convivenza universale che credo abbia stretto legame con l’insegnamento evangelico. Conosco tanti tipi di “ultimi”: dai detenuti ai disagiati, dai tossici agli svantaggiati, e ci sono purtroppo tante “Afriche” anche vicino casa.
Sta lavorando a qualche progetto in particolare?
Mi verrebbe da dire che il progetto è sempre lo stesso: realizzare la mia felicità interiore. So che sembra una risposta strana e vaga, ma la ritengo vera e profondamente reale.