Era ancora un ragazzino quando sfogliando l’album di famiglia che suo padre aveva realizzato con una Voigtlander a soffietto Claudio Speranza inizia ad amare la fotografia. Nato nel ’37 ad Ascoli Piceno, Speranza, telecineoperatore, giornalista, inviato speciale per meriti, è stato per oltre mezzo secolo tra i più attenti testimoni del Tg1. Oggi in pensione. Nel libro “Le immagini non mentono quasi mai”, scritto da Francesco Vitali Gentilini e pubblicato da Poderosa edizioni, è possibile rivivere la storia e la cronaca in 151 Paesi, attraverso gli occhi del videoreporter, instancabile viaggiatore. Dai terremoti agli attentati terroristici italiani ed esteri, come quello alle Torri Gemelle ed ancora viaggi spaziali, incontri sportivi e teatrali. Fu entusiasta di lavorare con Eduardo De Filippo in “Natale a casa Cupiello” e in “Questi fantasmi”.

Testimone di numerosi eventi storici, incluso quello tra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov a Reykjavík, fino al conflitto russo-ucraino. Durante i suoi viaggi ha sempre portato con sé in valigia il libro “Il Piccolo Principe” perché leggerlo lo aiutava a pensare con sentimento. Ed è proprio attraverso le pagine di questo libro-intervista che Speranza svela anche i suoi sentimenti, come il legame con il padre Adriano «l’unico maestro che ho ascoltato. Mi insegnò a pensare, non a cosa pensare». Era 1969 quando fu realizzato uno dei primi collegamenti in diretta Rai, si trattava dell’omicidio di Ermanno Lavorini, un ragazzo di appena dodici anni.

«Era un delitto a sfondo sessuale, la prima volta in cui esplicitamente si cominciò a parlare di pedofilia sui media» ricorda Speranza. Per il noto inviato Rai raccontare con le immagini è qualcosa di istintivo «per farlo bene devi sentirlo negli occhi, nel cuore e nelle mani, le tecniche le puoi imparare a scuola, ma non basta». Anche con un obiettivo in mano per Speranza la dignità di una persona viene prima di tutto, mai spettacolarizzare la sofferenza. Come quando in via Selci a Roma, con Enzo Tortora tra due carabinieri «non indugia nei suoi polsi ammanettati come fecero altri».
Insomma pagine ricche di preziosi consigli di vita e soprattutto per tutti quei giovani che vogliono avvicinarsi al mondo del giornalismo. Del resto la sua idea di giornalismo è fondata su un’etica professionale e umana, proprio come quella che ha guidato grandi professionisti come Mauro De Mauro, Peppino Impastato, Mauro Rostagno e Giancarlo Siani. Nonostante il lavoro che lo ha portato spesso fuori casa, la famiglia e gli amici hanno sempre rappresentato un punto fermo nella sua vita. Oggi, in pensione, Speranza si divide tra Roma e Grottammare.
Marinaio prestato alla telecamera, grande telecinereporter della Rai, in questo libro Speranza si racconta svelando piccoli particolari e debolezze di grandi leader e personaggi, della professione giornalistica, ma anche di se stesso. Infatti parla anche della sua malattia e tra le ultime parole che riporta nel libro ci sono «Ho imparato che i momenti belli insegnano ad amare la vita, quelli brutti a saperla vivere». Il libro, con prefazione di Nuccio Fava e la postfazione curata da Antonio Catolfi, è arricchito da più di 100 scatti. Numerosi i premi che ha ricevuto, tra cui quello dedicato a Iliara Alpi/Hrovatin. E’ membro di Reporters Sans Frontières e dell’associazione dei Giornalisti Europei. Ancora oggi lavora come documentarista freelance, seguendo problematiche ambientali e sociali.