Continua il viaggio tra realtà che rappresentano, a tutti gli effetti, delle eccellenze del territorio. A guidarci in questa avventura è Niccolò Dondoni, un ragazzo che ha calcato e sta calcando i campi di calcio di tutta Italia che ha deciso da tempo di scoprire cosa c’è dietro quello che tutti noi, da consumatori spesso disattenti, ci troviamo di fronte agli occhi ogni giorno. A tavola, al ristorante, al supermercato. E da oggi racconterà sulle pagine de La Nuova Riviera, quello che c’è dietro il bicchiere o la bottiglia di buon vino, portando alla nostra attenzione il lato umano che accompagna la storia di famiglie che hanno dato vita ad aziende agricole divenute eccellenze. Oggi parliamo con la cantina Aurora a Offida.
Credo nella bellezza di raccontare il territorio e le storie che lo rappresentano attraverso un filo conduttore spontaneo. Da Aurora a Vigneti Vallorani, passando per Terroir Marche e la bellissima festa di campagna in cui si sono ritrovati i 19 produttori che cercano di valorizzare l’agricoltura biologica. Un consorzio innovativo, in grado di far percepire in modo naturale espressioni autentiche della nostra regione, sensibilizzando su quanto sia importante rispettare tutto ciò che ci circonda. Questo per dirvi che nulla accade per caso e posso assicurarvi che questa realtà mi lega a due cari amici più di tante altre. Marco e Clara sono due delle prime persone che ho avuto il piacere di conoscere durante questo viaggio e senza di loro non sarei di certo qui a raccontare ogni esperienza.
Gli aneddoti di Marco Salluce (@perfectitalianwine) mi hanno permesso di conoscere Rocco e la sua storia, che ho ascoltato ed ammirato nel “buongiorno in vigna” di Clara Iachini, format ideato per dare voce ai frammenti di vita dei vignaioli del suo cuore e non solo. Una premessa indispensabile per sottolineare un legame spontaneo con il Piceno, rappresentato dalla famiglia Vallorani, che produce vino da quattro generazioni. Dicono che un territorio si esprima nei vini così come nelle arti delle persone che lo vivono e credo che questo pensiero sia tangibile nella filosofia di questa realtà. Ogni scelta è frutto di un preciso particolare colto durante il percorso di vita, dettato da esperienze ed insegnamenti. Una chiave di lettura e comprensione ideale, riportata a Colli dopo anni trascorsi in giro per l’Italia prima e per il mondo poi. Mi verrebbe da dire che la Toscana e la Nuova Zelanda siano state fonte di grande ispirazione per Rocco, a tal punto da metterlo nelle condizioni di comprendere quale fosse la sua identità naturale. Un connubio reso profondo dal grande rispetto per tutto ciò che avvolge la cantina, proprio per privilegiare la spontaneità con cui evolve la materia prima verso la sua espressione più sincera.
Armonia ed unione di intenti tra tutte le componenti, a partire dai suoi fratelli Stefano ed Edoardo, anche se quest’ultimo ha intrapreso una strada professionale diversa e non meno affascinante. Impossibile non citare il valore umano e quel legame empatico che si crea in maniera inaspettata, quasi sorprendendo. Sfumature a dir poco curiose, che fanno la differenza e ci permettono di distinguere le varie cantine, che con molta onestà non credo si possano paragonare tra loro, come succede molto spesso, per la presenza di storie estremamente personali e diverse tra loro. Prendo spunto da quest’ultimo pensiero espresso per sottolineare un altro particolare in grado di fare la differenza, per il fascino con cui riesce a coinvolgere ogni appassionato.
L’arte in etichetta è una scelta coraggiosa, per la ricerca e la cura con cui avviene la selezione di ogni opera, proprio per dare valore all’intreccio tra l’artista locale e la rappresentazione della storia che c’è dietro ad ogni calice di vino. Un binomio ricorrente a mio modo di vedere le cose, considerando che il vignaiolo stesso può essere artista a modo suo, lavorando duramente per esaltare la bellezza dei particolari che rendono inediti i suoi dipinti enologici. Il vino è convivialità e posso assicurarvi che il momento in cui decidiamo di condividere un calice assume un valore assoluto, proprio perché diventa la cornice che racchiude le emozioni da vivere con persone speciali. Un calice di “Octavum” sul mare con vista Lido Sabbiadoro, in occasione della serata organizzata ogni anno da Marco Meige, rende onore ad uno dei rosati più interessanti del panorama vitivinicolo marchigiano. Ci vorrebbero molti più “calici sul mare” proprio per far conoscere il potenziale del nostro patrimonio culturale, il più delle volte sottovalutato, per non dire dimenticato.
Un passaggio significativo ai fini del racconto, per portarvi con me al primo incontro con Stefano Vallorani, che ha anticipato il pomeriggio condiviso in cantina tra ricordi e sensazioni. Impossibile non citare “Polisia” per la sincerità con cui lega le varie generazioni, essendo il vino dei nonni e dei genitori. Un blend di Sangiovese e Montepulciano, da vigne che vanno dai 40 ai 60 anni, quasi a voler testimoniare ogni passo della tradizione familiare, che resta tangibile nonostante la voglia di innovare, portando alla ribalta anche il “Muro del Tempo” di Giorgio Pignotti. Quel tempo che ricorre ed assume un valore immenso, per chi ha la pazienza di aspettare di godersi un calice di “Sorlivio” nella bellissima terrazza panoramica che verrà, in cui sarà praticamente impossibile non emozionarsi. Mi auguro di raccontarvi presto quel ricordo, tutto da vivere e condividere con i cari amici che ho citato e con tanti altri appassionati che mi auguro di coinvolgere in questo itinerario invisibile.