SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Un Referendum da portare sulle spalle, da soli. Il Partito Democratico sta affrontando senza alleati la campagna elettorale per il sì, sia a livello nazionale che in Riviera.
Una Riforma Costituzionale contestata da molti e disconosciuta anche da chi, in Parlamento, l’aveva inizialmente approvata. Se poi il Presidente del Consiglio finisce col personalizzare l’appuntamento, ecco che la guerra politica è inevitabile.
Il Pd è di fatto isolato, con la battaglia per il “sì” trasformata in un’appendice della Festa dell’Unità. I democrat sambenedettesi hanno ben presto fiutato il pericolo, creando il Comitato “Basta un sì”, volutamente privo di simboli di partito.
Capita però che i coordinatori siano pure esponenti di spicco del Pd e che sotto ai gazebo, installati in pieno centro nei fine settimana, compaiano esclusivamente loro. Per non parlare delle iniziative pubbliche, avviate da Matteo Richetti a settembre e proseguite con Lorenzo Guerini e Simona Bonafè. La scorsa settimana era invece previsto l’arrivo della deputata Alessia Morani, ma l’iniziativa è saltata a causa del terremoto.
“Per adesso tutto è fermo”, dice Tonino Capriotti. “Il sisma ci ha costretto allo stop, al momento la nostra campagna è affidata ai social network”.
L’identificazione col Pd non piace a tutti. Molti vedono il rischio di un referendum su Renzi più che sulla Costituzione e vorrebbero ampliare le iniziative a politici di altri schieramenti. “Che si impegnino anche loro”, mormora qualcuno. Ma nessuno finora pare aver risposto.
L’Udc, ad esempio, vive una situazione paradossale. Se Pierferdinando Casini è un convinto promotore della Riforma, dall’altra parte c’è il segretario Lorenzo Cesa che si dice contrario. Motivo per cui i centristi marchigiani evitano di esporsi, con atteggiamenti tiepidi o peggio ancora di assoluto distacco.
Discorso ancora più complesso per il Nuovo Centrodestra, forza di Governo al fianco di Renzi e al contempo avversaria del Pd in Consiglio Comunale a San Benedetto.