spadu top
sabato 14 Dicembre 2024
Ultimo aggiornamento 01:51
sabato 14 Dicembre 2024
Ultimo aggiornamento 01:51
Cerca

Le primarie come rito del popolo della sinistra

di Tonino Armata
Pubblicato il 7 Luglio 2021

Le primarie, oltre a essere l’atto costitutivo del Pd, sono la chiave per dare la parola ai territori, selezionare le candidature dal basso, far conoscere le idee di chi aspira a guidare la propria comunità. Le primarie all’americana sono il metodo con cui il Partito democratico sceglie il candidato liberamente votato dai suoi elettori. Le primarie all’italiana sono invece il metodo con cui gli elettori possono liberamente votare per il candidato scelto dal Partito democratico.

Le primarie levano le castagne dal fuoco a chi non sa decidere: cioè ai dirigenti del Partito democratico. Far votare la gente per annegare in un bagno di folla il più vistoso tra i difetti della sinistra a noi contemporanea, che è l’indecisione. Ovvero trasformare retoricamente una debolezza – la gracilità di una classe dirigente – in una forza – il rito del “popolo della sinistra” in coda davanti alle urne.

Sono abbastanza vecchio da ricordare il “prima delle primarie”. Ovvero i tempi in cui le segreterie di partito e tanto più i segretari, che non avevano alcun bisogno di farsi chiamare leader per esserlo, potevano esercitare il loro potere con autorevolezza quasi meccanica. Alle loro spalle c’erano congressi solenni e tutti comunque “storici”, comitati centrali e segreterie politiche dove ci si scannava con una certa eleganza ma nel nome di parole d’ordine imponenti (il Novecento non fu un secolo leggero). Nella Dc una lotta correntizia da corte scespiriana, nel Pci il cozzo costante tra movimentisti e statalisti – sinistra e destra interna – producevano un frastuono politico che riempiva i giornali e appassionava i militanti. Le sezioni erano piene. I sindacati al culmine del loro potere e del loro prestigio. Ogni persona che prendeva la parola in un’assemblea si sentiva a cavalcioni della Storia. La politica appariva un luogo drammatico, a volte tragico, comunque importantissimo.

La lotta per le candidature, all’interno dei partiti, era epica, anche se le urla di esultanza e di rabbia non trapelavano da quelle poderose mura. I giornalisti con telecamera non erano in grado di inseguire Tizio e Caio fuori da Montecitorio soprattutto a causa della mole delle telecamere (la tecnologia ha inferto colpi mortali alla privacy). Ma poiché a governare ogni scelta, anche la scelta degli uomini e delle donne che dovevano rappresentarlo, era il Partito, e poiché al Partito, e per emanazione ai suoi dirigenti, veniva riconosciuta, se non l’aura di moderno Principe, un’autorità ben superiore a quella dei suoi singoli membri, a nessuno venne mai in mente che le candidature potessero essere decise “dal basso”.

Anche allora veniva candidato qualche cretino per il solo merito della fedeltà alla linea, o a uno dei capi. E anche allora si candidavano persone notevoli perché avevano dimostrato di esserlo sul campo. Non direi dunque che fosse superiore la qualità media della classe politica. Era superiore, e di molto, il prestigio dei partiti e dei loro capi.

Questa rievocazione del tempo andato serve a spiegare perché difendo le primarie. Quella politica, con i suoi pregi e i suoi difetti, non esiste più. Non esistono più Partiti con la P maiuscola, e la frase «lo ha detto il Partito», che ai tempi chiudeva con un colpo di maglio il 99 per cento delle discussioni, non è più pronunciabile.

Non l’autorevolezza delle persone (ci sono politici bravi e appassionati) ma l’autorevolezza della politica e dei partiti non ha più niente di novecentesco.

E dunque? E dunque la politica sta cercando di adeguare modi e tempi a una nuova epoca, direi a una nuova “consistenza” della politica. Che volendo possiamo definire più sgranata, più mediocre, più confusa: ma è figlia di macerie ideologiche, e gerarchiche, che non possiamo non vedere, anche quando non ci piacciano.

Gli effetti di questa ricerca di nuovi modi e tempi sono spesso pessimi. La demagogia, per esempio: dare ragione a ogni istanza, anche la meno ragionevole, pur di raccattare voti. Il populismo: dare per scontata la morte dei “corpi intermedi” e rivolgersi direttamente a un fantomatico “popolo”. E in tanti abbiamo salutato con grande sollievo il tramonto del casaleggismo come collettore delle decisioni politiche, una piattaforma gestita da privati che “dava ordini” a un gruppo parlamentare… Ma la ricerca di democrazia diretta è inevitabile, procede di pari passo con l’aumento di tono e di volume della “voce della folla” per via dei social, con l’avvenuto disfacimento dell’idea del Partito come Principe, con l’aumento (virtuoso!) di un bisogno di cittadinanza che non si esprime più attraverso l’adesione ideologica a una causa, ma tramite l’esercizio concreto dei propri diritti.

Le primarie, in questo senso, mi sembrano una via dignitosa e apprezzabile per ricostruire scelte condivise: non ne vedo altre, e un Berlinguer o un Moro o un Craxi redivivi, per quanto carismatici, sarebbero i primi a riconoscere che la macchina non può funzionare “come prima”, e che l’autorevolezza della politica, non potendo più rinascere sotto l’ombra di certi totem e di certe cattedrali, è costretta a sperimentare percorsi più orizzontali, più larghi, se posso aggiungere: più umili. A modo loro hanno “fatto primarie” anche le Sardine, con la loro idea così semplice e bella che per riempire la Polis si deve riempire, metro per metro, persona per persona, una piazza. E a proposito di Bologna ci si domanda come farebbe la sinistra bolognese, senza le primarie, a scegliere il suo candidato. Vero, è un Sos che un partito lancia alla sua gente: aiutatemi, dite la vostra, da solo non ce la faccio. Ma è anche un patto civile: se vinciamo, vinciamo insieme, se sbagliamo, sbagliamo insieme.

La sinistra e i riformisti non possono non ripartire dalla partecipazione. E il Pd, deve indicare una strada possibile per la città di San Benedetto.

I riformisti non possono non ripartire dal partecipare e il Pd con LE PRIMARIE DI COALIZIONE A DOPPIO TURNO DEVE INDICARE LA STRADA POSSIBILE PER L’AMMODERNAMENTO DELLA CITTÀ DI SAN BENEDETTO.

Per me, il Pd deve dimostrare la capacità di cambiare per rendere la città più giusta. Ci sono due modi per interpretare questo compito: salire su una torre d’avorio e parlare in astratto del migliore dei mondi possibili o scendere tra le persone e farsi carico dei problemi quotidiani, che è ciò che il Pd deve cercare di fare.

jako
fiora
new edil
garofano
coal
picenambiente

TI CONSIGLIAMO NOI…