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Avvocatessa Elsa Melchiorre: “Greenwashing, stretta per imprese e professionisti”

Nonostante i progressi compiuti nel campo della sostenibilità, ci sono ancora molte aziende che cercano di trarre vantaggio da questo interesse crescente verso la sostenibilità
Pubblicato il 15 Marzo 2024

Prosegue, sul nostro giornale, la rubrica mensile della società Consilium Sr.l in cui, professionisti del settore, approfondiscono le prospettive legate alla sostenibilità.

Leggi il primo articolo: https://lanuovariviera.it/category/primo-piano/debora-cozza-la-sostenibilita-e-il-futuro-e-non-riguarda-solo-le-aziende/

In questo mese, grazie all’Avvocatessa Elsa Melchiorre andremo a conoscere più da vicino il “Greenwashing”.

La sostenibilità è un tema che ha assunto un rilievo fondamentale nella società contemporanea, dove sempre più persone si rendono conto dell’importanza di preservare il nostro pianeta per le generazioni future. Tuttavia, nonostante i progressi compiuti in questo campo, ci sono ancora molte aziende che cercano di trarre vantaggio da questo interesse crescente verso la sostenibilità, attraverso pratiche di greenwashing.

Il greenwashing è un fenomeno sempre più diffuso, con cui le aziende cercano di trarre vantaggio dalla crescente sensibilità dei consumatori verso le questioni ambientali, senza però effettuare variazioni sostanziali nei loro processi produttivi o nelle politiche aziendali. Questo porta a una disinformazione dei consumatori e a una minore efficacia delle politiche ambientali.

Il washing non investe solo il green, ma si espande a tutte le dimensioni della sostenibilità: il pink washing richiama finte pratiche a favore della Diversity & Inclusion disattese nella concretezza, il social washing si riferisce a iniziative commerciali travestite da Responsabilità Sociale, l’SDGs washing dichiara un contributo allo sviluppo sostenibile, omesso nella realtà.

Dall’indagine promossa dal Parlamento UE “Asserzioni etiche di sostenibilità delle aziende, rating ESG e false ESG” è emerso che, se è vero che i cittadini e consumatori chiedono maggiore trasparenza e chiarezza anche per orientare le proprie scelte di acquisto, d’altro canto il 64% degli intervistati ha espresso un livello di fiducia basso o bassissimo verso le dichiarazioni di sostenibilità delle imprese (dichiarazioni sul sito aziendale, claim pubblicitari, comunicazione corporate, mission). Il (45,47%) dei cittadini ritiene che le aziende utilizzino la sostenibilità per motivi pubblicitari e di marketing e non per genuino e autentico interesse, e ben il 75,2% chiede alle aziende certificazioni sulle performance ESG validate da enti terzi.

La diffusione e comunicazione a consumatori e investitori di dichiarazioni e dati falsi, infondati o fuorvianti, è comparabile al falso in bilancio, alla concorrenza sleale e alla pubblicità ingannevole, esponendo le aziende a crisi reputazionali, sanzioni, perdita di consenso e di risorse. Le imprese che attuano questa tipologia di washing mettono in pericolo il capitale reputazionale, considerato intangibile per la competitività delle imprese, generando conseguentemente costi di gran lunga superiori al risparmio che si otterrebbe fingendo di perseguire ed integrare la sostenibilità nel business. Di conseguenza risulterebbe impossibile per tali aziende accedere a finanziamenti, bandi e gare, con notevole perdita di consenso e fette di mercato.

Per contrastare queste pratiche, l’Unione Europea ha adottato una strategia in materia di finanza sostenibile che mira a garantire che gli investimenti siano realmente sostenibili e rispettino criteri ambientali, sociali e di governance: Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) per uniformare i requisiti di reporting sui prodotti finanziari; Tassonomia per orientare scelte di investitori e stakeholder secondo criteri specifici di sostenibilità; Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) per rafforzare la trasparenza nella misurazione e comunicazione delle performance di sostenibilità.

Questa strategia include l’adozione di regolamenti che obbligano le imprese a rendere pubbliche le informazioni sulle proprie politiche ambientali e a rispettare criteri minimi di sostenibilità.

Ma non basta: pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 5 marzo 2024, la Commissione Europea ha approvato la nuova direttiva europea 2024/825 Ue sul greenwashing, con l’obiettivo di contrastare le pratiche di marketing ingannevoli che cercano di presentare prodotti o servizi come più sostenibili e rispettosi dell’ambiente di quanto non siano in realtà.

La nuova direttiva europea mira a combattere il greenwashing attraverso l’introduzione di regole più stringenti e sanzioni più severe per le aziende che cercano di ingannare i consumatori e mira dunque a proteggerli da pratiche di commercializzazione ingannevoli, nonché ad aiutarli a compiere scelte di acquisto più informate e consapevoli.

Tra le misure previste ci sono controlli più rigorosi sulle etichette e sulla pubblicità verde, l’obbligo di fornire informazioni dettagliate sulle pratiche sostenibili adottate e la creazione di un sistema di certificazione europeo per i prodotti veramente sostenibili.

A tal fine, vengono aggiunte all’elenco UE delle pratiche commerciali vietate una serie di strategie di marketing problematiche legate al greenwashing e all’obsolescenza precoce dei beni.

La Direttiva, in particolare, include nell’elenco delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali (di cui all’allegato I della Direttiva 2005/29/CE e all’art. 23 cod. cons.) delle nuove pratiche riconducibili al greenwashing:

  • esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazioneo non è stabilito da autorità pubbliche (saranno vietati sia i marchi volontari non verificati da soggetti terzi, indipendenti e rispondenti a requisiti ex lege, sia quelli non istituiti dall’Ue o da Stati membri)
  • formulare un’asserzione ambientale genericaper la quale il professionista non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione (dichiarazioni ambientali non chiarite attraverso lo stesso mezzo di comunicazione che le veicola, come le dichiarazioni ‘verde’, ‘ ecologico’, ‘rispettoso dell’ambiente’ i cui autori non riescano a dimostrarne la corrispondenza a sistemi di qualità ambientale riconosciuti ex lege);
  • formulare un’asserzione ambientaleconcernente il prodotto o l’attività del professionista nel suo complesso quando riguarda solo un determinato aspetto del prodotto o dell’attività (ad esempio gli slogan quali ‘realizzato con materiale riciclato’ oppure ‘ da fonti rinnovabili’ che, nella realtà, si rivelano veri solo parzialmente);
  • asserire, in base ad una meracompensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra (asserzioni legate a locuzioni come ‘neutrale’, ‘ a zero emissioni nette’ per il clima, che possono dare falsa impressione di assenza di impatto ambientale);
  • presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoriacome se fossero un tratto distintivo dell’offerta del professionista (vantare l’assenza di una sostanza chimica che in realtà è già vietata per legge).

La Direttiva sul divieto di greenwashing modifica anche le norme sull’etichettatura dei prodotti, vietando l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “ecose non supportate da prove.

Viene, altresì, regolamentato l’uso dei marchi di sostenibilità, per cui verranno autorizzati solo marchi basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche.

Sono inoltre vietate, poiché considerate in ogni caso sleali:

  • indicazioni infondate sulla durata (Ad es. falsare o dichiarare falsamente i termini di durabilità temporale di un bene)
  • inviti a sostituire i beni di consumo prima del necessario (Ad es. promozione di aggiornamenti software omettendo di informare che possono incidere negativamente sul funzionamento del bene)
  • false dichiarazioni sulla riparabilità di un prodotto (Ad es. presentare un prodotto come riparabile quando in realtà non lo è).

La Direttiva entrerà in vigore il ventesimo giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e gli Stati membri avranno tempo sino al 27 marzo 2026 per recepirla nel diritto nazionale.

Il Commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, ha commentato l’approvazione della direttiva come un passo importante nella lotta al greenwashing e nella promozione di una transizione verso un’economia più sostenibile. “Le aziende devono essere oneste e trasparenti nelle loro pratiche di marketing, altrimenti rischiano di compromettere la fiducia dei consumatori e il futuro del nostro pianeta, ha dichiarato Sinkevicius.

Questa normativa avrà un impatto significativo sul modo in cui le aziende comunicano le proprie pratiche sostenibili e sui comportamenti di acquisto dei consumatori, contribuendo così a una maggiore trasparenza e responsabilità nel settore aziendale.