FOSSOMBRONE. Nella giornata di ieri, all’interno del carcere di Villa Fastiggi a Fossombrone, si è tenuta l’udienza di convalida dell’arresto di un sovrintendente della polizia penitenziaria, fermato giovedì scorso presso l’istituto di pena di Fossombrone con l’accusa di contrabbando di telefoni cellulari destinati ai detenuti.
Colto sul fatto
L’agente, 54 anni, residente ad Acqualagna, è stato arrestato in flagranza di reato mentre cercava di introdurre in carcere due smartphone, completi di caricabatterie e cuffie. Gli apparecchi erano nascosti sotto la tuta che indossava, ma i rigonfiamenti sono stati notati, attirando così l’attenzione.
Durante la successiva perquisizione nella sua abitazione, sono stati rinvenuti altri due telefoni con relativi accessori. Inoltre, in casa è stata trovata una somma di denaro pari a 2.000 euro, la cui origine l’uomo non ha saputo giustificare e che, secondo l’accusa, proverrebbe dalla vendita dei telefonini ai detenuti. I dispositivi e il denaro sono stati sequestrati come prove dell’attività illecita e del presunto atto di corruzione.
Le accuse e la normativa di riferimento
Il sovrintendente deve ora rispondere di reati specifici previsti dal codice penale, in particolare l’introduzione di apparecchi telefonici in carcere (articolo 391 ter), che prevede pene da 2 a 5 anni di reclusione per il pubblico ufficiale. A queste accuse si aggiunge quella di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (articolo 319), la cui pena può variare dai 6 ai 10 anni di detenzione. L’indagine è stata portata avanti dalla procura di Urbino, con il pm Simonetta Catani e il gip Egidio De Leone. L’agente, assistito dall’avvocata Elena Fabbri, ha confessato le proprie responsabilità, dichiarando di aver agito per motivi economici, legati a un momento difficile per la sua famiglia. Gli smartphone, secondo quanto emerso, erano destinati a un unico detenuto italiano, che aveva pagato in anticipo 1.000 euro per ogni telefono.
L’udienza di ieri ha portato alla convalida dell’arresto e all’adozione della misura cautelare in carcere, come richiesto dal pubblico ministero. Tale decisione è stata presa per evitare il rischio di ripetizione del reato e la possibilità di inquinamento delle prove, considerato che altri due dispositivi erano stati rinvenuti nell’abitazione dell’accusato.
L’avvio dell’indagine e l’interesse investigativo
L’inchiesta era partita da lontano, stimolata dal ritrovamento, nei mesi precedenti, di telefoni cellulari in possesso di alcuni detenuti all’interno del carcere di Fossombrone. Sebbene non vi fossero elementi per attribuire direttamente quei telefoni all’attuale indagato, il ritrovamento aveva sollevato l’interesse delle autorità e spinto a incrementare l’attività di sorveglianza.
L’indagine è stata condotta dal nucleo regionale della polizia penitenziaria di Bologna, in collaborazione con il comando della casa di reclusione di Fossombrone e su impulso della direzione del carcere stesso. Al momento non sono emersi elementi che suggeriscano che i dispositivi fossero destinati a mantenere contatti criminali all’esterno dell’istituto.