di Emidio Lattanzi
SAN BENEDETTO DEL TRONTO. Quando l’aria salmastra si mescola al vento di maggio (vento di promozione), e il sole cade lungo le gradinate del Riviera delle Palme, è lì che si sentono le voci del passato. Quelle voci hanno il timbro caldo di Paolo Beni, memoria vivente di una Sambenedettese che fu battaglia, poesia e popolo.
Ottantotto anni compiuti da pochi giorni, toscano di nascita e rivierasco per scelta, Beni approdò a San Benedetto nel 1960 e non se ne andò più. Sedici derby ufficiali tra Samb e Ascoli, più un pugno di sfide estive giocate quando il calcio era ancora fatto di terra, sudore e orgoglio.
«Prima si facevano anche le amichevoli extra campionato», racconta con un sorriso. Di quei sedici derby, la sua personale statistica dice: sette pareggi, sei vittorie, tre sconfitte. Ma i numeri non possono contenere l’intensità di certe partite. «Quando sono arrivato a San Benedetto la squadra da battere era la Samb. Poi loro, con l’accoppiata Rozzi-Mazzone, ma anche con Campanini, hanno fatto il salto di qualità. Gli ultimi anni abbiamo iniziato a soffrire in quelle partite. Prima, la squadra più forte era la nostra. Magari pareggiavi, ma il gioco era rossoblu».
C’è un derby che è impossibile da dimenticare, ma anche duro da ricordare, quello della tragica morte del portiere Roberto Strulli, anche lui toscano. È il dolore che segna un’epoca. Ma accanto alla tristezza, affiora la neve. Quella del 7 marzo 1981, quando il derby fu un evento che travalicava il campo: «Non era una partita come le altre. Quando si avvicinava Samb-Ascoli, anche chi non seguiva il calcio sentiva l’adrenalina in orpo. Un fenomeno sociale. In qualsiasi negozio entravi, si parlava solo di quello».
Il tempo ha cambiato le cose, ma non tutto. «Erano gare dove la rivalità era forte, ricordo l’invasione dei tifosi sambenedettesi ad Ascoli. Alcuni vennero negli spogliatoi per curarsi le ferite. Ma c’era tanto folklore. Oggi, giocare senza pubblico o vietare le trasferte sarebbe davvero triste».
Beni si sente figlio della Sambenedettese. Ieri, alla grande festa organizzata per celebrare la squadra e la promozione, non ha potuto essere presente con le altre vecchie glorie. Il legame però resta indissolubile: quest’anno, dalla tribuna del Riviera delle Palme, ha visto moltissime partite. Un’anzianità attiva, quella di Beni, testimone di un amore che non si affievolisce.
Non manca un pensiero per chi oggi guida la Sambenedettese: «Il presidente Massi? Cosa gli vuoi dire? Ha fatto un grande lavoro, ha riportato entusiasmo, ha riportato la squadra tra i professionisti, ha riempito lo stadio, ha dato vita a tantissime iniziative che hanno riavvicinato la città, grandi e bambini, alla realtà della Samb. Questo è un progetto portato avanti seriamente, perché sennò 8mila o 10mila persone non le fai in Serie D. Ora speriamo che il prossimo anno riesca a farsi consigliare da persone esperte di questa categoria e che possa ottimizzare investimenti e spese facendoli rendere nel miglior modo possibile».
Tra le figure del passato che ancora illuminano i suoi racconti, Carletto Mazzone ha un posto speciale. «Con lui c’era un bellissimo rapporto. A Coverciano, in tempi non sospetti, mi dissero che quell’uomo era nato per fare l’allenatore». E anche Costantino Rozzi non fu mai davvero un avversario, ma un uomo con cui c’è stata stima reciproca: «Voleva portarmi in bianconero come allenatore in seconda. Ma chi avrebbe mai avuto il coraggio di andare a lavorare con l’Ascoli?».
Nel cuore di Paolo Beni convivono memoria e presente. La Samb di ieri e quella di oggi si parlano attraverso i suoi occhi. E in quei derby che non si dimenticano, nella neve del ’81 e negli applausi del Riviera, vive ancora l’anima fiera di una città intera.