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Lo chef si racconta | Umberto Bentivoglio: L’esperienza dai grandi e la sua anima gourmet

Le donne della sua famiglia, la nonna e la mamma, sono quelle che gli trasmettono la sapienza in cucina in maniera naturale, quasi necessaria
Pubblicato il 12 Aprile 2025

di Stefano Nico

Dagli aerei alla cucina: quella di Umberto è la storia di un amore così totalizzante da fargli cambiare rotta. Inizia a studiare da pilota, poi, a 17 anni, la cucina si prende tutto lo spazio che c’è. Di origini campane, si trasferisce a otto anni nelle Marche. Le donne della sua famiglia, la nonna e la mamma, sono quelle che gli trasmettono la sapienza in cucina in maniera naturale, quasi necessaria. Umberto cresce imparando l’amore per le cose genuine, apprendendo che dietro ogni creazione ai fornelli deve esserci autenticità, sia nell’ispirazione che nel prodotto. Perché le cose buone nascono solo da un sentimento di totale dedizione alla cucina, alle sue regole e ai suoi piaceri. Negli anni fa esperienza con grandi maestri, tra cui Carlo Cracco, Moreno Cedroni, Gualtiero Marchesi e Danilo Freguja, appende con umiltà le tecniche e si appassiona a quello che diventerà il suo mondo, il Gourmet.

Come ti descrivi in tre parole?
Di carattere, dedizione, cultore

Come nasce la tua passione per la cucina?
Nasce inizialmente da una situazione familiare difficile all’età di 12 anni. In una pizzeria di un amico a dargli una mano al bancone, 12 anni, ho imparato presto a fare i conti e a capire il valore del sacrificio. Andare a scuola e poi tornare, sbrigarsi a fare i compiti (non sempre) e poi alle 16,30 pronti per andare a lavoro. Poi un giorno mi sono imbattuto nel mio primo impasto, con tanto di stesura e condimento delle pizze a causa di una sofferenza aziendale e li ho scoperto che sarebbe stato il lavoro della mia vita.

Cosa devono esprimere i tuoi piatti?
Gusto, ricordo, visione all’avanguardia. Per termine avanguardia non intendo tecniche o abbinamenti non conosciuti, ma innovazione nella cucina dal punto di vista di ingredienti. Oggi sempre più persone hanno problemi di salute, intolleranze, ed il nostro primo compito è quello di essere inclusivi, di non creare un disagio a chi purtroppo vive già una sventura alimentare e salutare, ecco per me questa è innovazione. La conferma di quanto appena detto sta nel fatto che oggi ricreiamo un pollo senza usare carne animale.

Qual è il piatto che più ti rappresenta?
Ti rispondo con una battuta… “Ci vuole fegato”. Si perché il piatto che più mi rappresenta è proprio una combinazione bilanciata di fegato d’anatra e fegato di rombo, abbinata a prugne Umeboshi e frutti rossi fermentati. Tra l’altro è il piatto che ha conquistato mia moglie Federica la prima volta che venne a cena ad uno dei miei tavoli.

Quale ingrediente non manca mai nella tua cucina?

La mia passione

Quali sono i tre piatti che nella vita non si possono fare a meno di provare?
Pasta e patate, latte e biscotti e la scaloppina di vitello

La comunicazione e i social quanto sono importanti per il tuo lavoro?
Sono sincero, confesso che ad oggi per me sono stati superflui, non gli ho mai dato importanza. La mia concentrazione è sempre stata massima nei piatti, nella materia prima, nel gusto e nella tecnica, ma mi rendo conto che, oggi, senza una comunicazione ben definita è difficile trasmettere tutto questo. Vi svelo un segreto, proprio negli ultimi giorni ho stretto una collaborazione con una equipe che seguirà totalmente il mio aspetto social professionale, comunicando con i piatti il mio valore, la mia creatività e la visione di cucina che ho.

Cosa consiglieresti ad uno chef emergente che vuole intraprendere la tua strada?
Il mio consiglio è di pensarci bene, non è la tv, ne tanto meno gli show o i piatti di design, la strada del cuoco è piena zeppa di sofferenze, di mancanze, di insuccessi. Oggi tutti guardano i grandi chef da un’ottica diversa; per fama, per visibilità, ma dietro c’è tanto studio, creatività ed ore a preparare i nuovi menù ed i nuovi piatti. Questo non vuol dire però che è e rimarrà il lavoro più bello del mondo, perché vedere gli amici, clienti che gioiscono nel mangiare un tuo piatto è impagabile. Quindi, ad un giovane chef emergente direi di fare bene i conti e decidere cosa diventare da grande.

Quando vai a mangiare in altri ristoranti quali sono le cose che noti di più?
Sono sincero, negli ultimi tempi non riesco molto a frequentare ristoranti, ma in quelle poche volte, con mia moglie Federica, e o senza nani (i miei 3 figli), scegliamo colleghi, amici e conoscenti, per ricambiare magari di una o più visite che ricevo da parte loro. Quando siedo a tavola non ho giudizi o pregiudizi, spesso mi riconosco nel sacrificio, nella stanchezza, nelle difficoltà. Non riuscirei mai a giudicare uno chef, per lo più amico, che ogni giorno porta avanti la mia stessa causa. Gli sbagli o gli errori purtroppo possono accadere, ma dietro quello sbaglio c’è una persona che oltre a lavorare con passione e dedizione, dedica sempre meno tempo alla sua famiglia, ai figli, a tutte le feste comandate e soprattutto a se stesso. Detto ciò, è ovvio che il mio occhio critico va un po’ su tutto, dal cibo, al servizio e a tutto il resto, ma non per giudicare ma perché sono estremamente critico di me stesso, e quando noto qualcosa che mi porta all’attenzione faccio subito il paragone con me stesso.

Quali sono le figure da cui hai tratto ispirazione durante il tuo percorso professionale?
Tra alcuni di cui ho grande stima e riconosco l’ineguagliabile bravura, ce n’è uno solo che mi ha sempre colpito: Albert Adrià. Il fratello nell’ombra del ristorante ElBullì, è lui la mia ispirazione più grande.

Per chi ti piacerebbe cucinare una cena speciale?
Per mia moglie, sembrerà stupido ma io non cucino mai per lei. Nonostante lei sia la mia spalla.

Chiudo con una domanda… Se dovessi regalarti del tempo come lo sfrutteresti?
In famiglia con i miei figli, mia moglie ed i miei cari… e se magari ci fossero 10 minuti in più, lo dedicherei alle mie auto.