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Bullismo killer, la filosofia della sopraffazione inizia in famiglia. E non ce ne rendiamo conto

Dagli stadi alla vita di tutti i giorni. Tra tante chiacchiere fatte di politically correct inculchiamo ai nostri figli il concetto che l'altro è spesso e volentieri un nemico. E che le donne sono il bersaglio più facile di tutti perché la mamma dell'avversario è sempre una p....
Pubblicato il 15 Ottobre 2024

di Emidio Lattanzi

La tragica vicenda del quindicenne vittima di bullismo che si è tolto la vita con la pistola del padre, apre una ferita profonda e ci costringe a riflettere su molteplici livelli. Il bullismo continua a essere un male radicato, che colpisce i più vulnerabili, ma la riflessione non può fermarsi qui. È essenziale che, come genitori e come società, ci interroghiamo su cosa stiamo trasmettendo ai nostri figli, sia per proteggerli dal diventare vittime, sia per evitare che diventino carnefici.




Troppo spesso ci concentriamo esclusivamente sul difendere i nostri figli dai bulli, senza renderci conto che potremmo, inconsapevolmente, contribuire a trasformarli in bulli. Le parole di condanna contro la violenza risuonano vuote se i nostri comportamenti quotidiani trasmettono tutt’altro messaggio. Pensiamo agli stadi, ad esempio: da una parte insegnamo ai bambini il valore dello sport, dall’altra, sugli spalti, assistiamo e spesso favoriamo inconsapevolmente la condivisione di insulti che non solo denigrano l’avversario, ma lo minacciano proprio. E quei cori glieli insegniamo ridendo.

E ancora: quante volte, infatti, sentiamo cori come “La mamma dell’ascolano è una pu****” o, a seconda della prospettiva, “La mamma del pesciaro è una pu****”? E poi, finita la partita, tutti a condannare ipocritamente la violenza sulle donne. Questi insulti, considerati “parte del gioco”, non solo normalizzano l’odio verso l’altro, ma gettano anche le basi per una cultura maschilista e misogina, in cui le donne diventano bersagli facili e dove il rispetto è un concetto flebile.

La stessa dinamica si ripete ogni giorno, nei gesti quotidiani. Banalizziamo comportamenti aggressivi nel traffico, alimentiamo commenti violenti di fronte a notizie di cronaca nera: “Se c’ero io, l’avrei preso a calci”. Questo è ciò che insegniamo ai nostri figli, ed è un messaggio che si apprende facilmente, perché è la via più semplice, la via della rabbia, dell’intolleranza, della forza bruta.

La violenza non si genera dal nulla. Cresce in un terreno fertile fatto di piccoli gesti, parole e comportamenti che troppo spesso giustifichiamo. Se vogliamo combattere il bullismo, dobbiamo prima di tutto interrogarci su ciò che stiamo trasmettendo con il nostro esempio. Non possiamo insegnare ai nostri figli a non essere vittime, se allo stesso tempo non insegniamo loro a non diventare aggressori.