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Buoni pasto, ecco cosa cambia per aziende e pubblici esercizi

Con l’approvazione delle nuove regole, il sistema dei buoni pasto sarà riformato per garantire una maggiore equità
Pubblicato il 23 Novembre 2024

L’introduzione di un tetto massimo del 5% sulle commissioni applicabili ai buoni pasto segna una svolta importante per il sistema di gestione di questi strumenti, fondamentali per molti lavoratori e esercenti.




La norma, contenuta nel Ddl Concorrenza, intende riequilibrare un settore in cui, fino ad oggi, gli esercenti hanno spesso subito costi insostenibili, arrivando a commissioni anche del 20-25% e lunghi tempi di incasso.

Per consentire un adeguamento graduale, il legislatore ha previsto un periodo transitorio. Le vecchie condizioni continueranno ad applicarsi ai buoni pasto emessi entro il 1° settembre 2025. A partire da quella data, le commissioni saranno limitate al 5%, diventando lo standard definitivo dal 1° gennaio 2026. Questo passaggio è pensato per armonizzare i rapporti tra società emettitrici e datori di lavoro, salvaguardando al tempo stesso gli interessi degli esercenti.

Inoltre, sempre dal 1° settembre 2025, le società emettitrici potranno recedere dai contratti di fornitura in essere senza oneri o indennizzi. Questa possibilità offre maggiore flessibilità agli emittenti per rinegoziare con i datori di lavoro condizioni più sostenibili.

Con l’introduzione del tetto massimo alle commissioni, il sistema diventerà più equo per bar, ristoranti, supermercati e altri esercizi commerciali che accettano buoni pasto. Questi ultimi, in passato, hanno spesso visto il margine sui propri prodotti eroso da commissioni elevate e da costi nascosti legati ai lunghi tempi di incasso. «Con questa norma si salvaguarda l’intero mercato dei buoni pasto – sottolinea Aldo Mario Cursano, vice presidente di Fipe-Confcommercio – e si dà un ruolo più trasparente e funzionale a uno strumento che nasce come servizio sostitutivo di mensa per i lavoratori».

La nuova normativa, inoltre, potrebbe avere effetti positivi anche sui consumatori. Riducendo i costi per gli esercenti, si potrebbero evitare rincari sui prodotti e servizi pagati con i buoni pasto, che finora erano spesso utilizzati per compensare le alte commissioni.

Anche le società emettitrici avranno margini di sostenibilità garantiti. Grazie alla differenza tra le aliquote IVA (4% in acquisto e 10% in vendita), potranno beneficiare di un credito d’imposta che mitiga l’impatto delle nuove regole. Inoltre, rimangono inalterati i benefici fiscali per i lavoratori: i buoni pasto continuano a essere defiscalizzati fino a 8 euro per quelli digitali e fino a 4 euro per quelli cartacei.

La necessità di regolamentare il settore nasce anche dalla crisi che ha colpito il sistema negli anni passati. Un episodio emblematico è stato il fallimento di Qui!Group nel 2018, che ha lasciato un buco di 600 milioni di euro e migliaia di esercenti senza risarcimento. La bancarotta ha evidenziato le fragilità di un mercato caratterizzato da sconti eccessivi e pratiche insostenibili. Gli esercenti erano spesso costretti a pagare commissioni altissime e a subire lunghi tempi di incasso, mentre i lavoratori si trovavano con buoni non spendibili.

Con l’approvazione delle nuove regole, il sistema dei buoni pasto sarà riformato per garantire una maggiore equità. L’obiettivo è ridare dignità a uno strumento che deve essere un beneficio per lavoratori e aziende, senza gravare eccessivamente sugli esercenti. Questa transizione verso il nuovo regime rappresenta un passo importante per rendere il settore più trasparente, sostenibile e funzionale per tutte le parti coinvolte.