Un fondo di 50 milioni di euro previsto dall’ultima Manovra per incentivare la sostituzione di vecchi elettrodomestici con nuovi modelli ad alta efficienza energetica e prodotti in Europa.
Questa misura si inserisce in un quadro di ridimensionamento dei bonus legati alla casa e punta a coniugare sviluppo industriale e transizione ecologica, come sottolineato dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Tuttavia, sebbene l’iniziativa rappresenti un passo avanti, il rilancio di un settore in crisi da anni richiederà interventi ben più strutturati.
La crisi del settore “bianco”: un declino pluriennale
Il settore degli elettrodomestici, un tempo fiore all’occhiello dell’industria italiana, vive da decenni una crisi profonda. Massimiliano Nobis, segretario nazionale della Fim Cisl, fotografa al Sole 24 Ore l’entità del declino con un dato eloquente: dagli oltre 30 milioni di pezzi prodotti in Italia agli inizi degli anni 2000, si è scesi a soli 10 milioni. La crisi strutturale non risparmia alcun marchio, come dimostra la situazione di Beko, la joint venture tra Arcelik e Whirlpool, che ha annunciato quasi 2.000 esuberi su 4.200 addetti, tra chiusure di stabilimenti e ridimensionamenti.
Gli effetti negativi di queste decisioni si estendono lungo tutta la filiera, dalla supply chain alla logistica. La dipendenza da materie prime estere, i costi elevati dell’energia e una logistica onerosa rappresentano ostacoli significativi per la competitività dell’industria italiana. «La supply chain pesa per il 70% del costo finale di un prodotto», sottolinea Nobis, evidenziando come ogni indebolimento di questo sistema possa avere ripercussioni devastanti sull’intero comparto.
Il panorama europeo: un mercato in trasformazione
La crisi del settore non riguarda solo l’Italia, ma si estende a tutta l’Europa. Dal 2015 al 2023, i produttori europei di elettrodomestici hanno perso 9 milioni di unità, passando da 49,1 milioni a 40,3 milioni, mentre i concorrenti asiatici hanno guadagnato terreno. Aziende come Haier, Samsung e LG dominano oggi il mercato grazie a una supply chain più snella e costi di produzione nettamente inferiori, soprattutto per l’energia.
Anche i grandi marchi europei stanno soffrendo: BSH (Bosch Siemens Hausgeräte) ha annunciato migliaia di esuberi, e la tedesca Miele ha intrapreso una ristrutturazione con pesanti tagli al personale. La globalizzazione e le dinamiche geopolitiche hanno ulteriormente accentuato le difficoltà, rendendo il rilancio una sfida complessa.
Le richieste dei sindacati e le prospettive per il futuro
Per i sindacati, il rilancio del settore passa attraverso investimenti significativi in innovazione, produttività e sostenibilità. «Il costo del lavoro incide solo per il 15% sul prodotto finito», afferma al quotidiano di Confindustria Alberto Larghi, segretario nazionale della Fiom. A pesare di più sono la logistica, le materie prime e l’energia. Per questo, secondo Larghi, è necessario un approccio sistemico che preveda investimenti in tecnologie avanzate, misure di sostegno temporaneo per le aziende in difficoltà e politiche di ricambio generazionale.
Alcune esperienze positive dimostrano che il rilancio è possibile. Electrolux, ad esempio, ha investito 110 milioni di euro in una linea produttiva a Susegana, evidenziando l’importanza di puntare sull’innovazione. Tuttavia, per rendere sostenibili le produzioni europee, occorre affrontare sfide complesse come la transizione energetica e il miglioramento delle infrastrutture logistiche.
Il futuro del settore
Il settore degli elettrodomestici rappresenta ancora un pilastro fondamentale per l’economia italiana ed europea, ma necessita di un ripensamento profondo. La competizione con i colossi asiatici e le difficoltà interne impongono un cambio di rotta che metta al centro innovazione, sostenibilità e una strategia industriale chiara. Solo così l’Italia e l’Europa potranno tornare a giocare un ruolo di primo piano in un mercato globale sempre più competitivo.