di Gino Troli
La notizia che il porto , con sbarre e strumenti tecnologici, è stato chiuso a tutti ci colpisce e ci lascia interdetti.
Potremmo capire il non accesso a camion e vetture che potrebbero creare problematiche per illeciti sbarchi di pescato o comunque intralci alla attività portuale, pur essendoci la piena possibilità di controllo da parte delle autorità con controlli e multe, ma l’impossibilità di vivere con una passeggiata un’area che è ancora parte integrante della città e che rappresenta la sedimentazione in un luogo di secoli di storia ci pare del tutto esagerata. Per non parlare che così è stata interdetta la parete dove sono allineate le lapidi in cui sono ricordati i nostri morti, centinaia di pescatori che hanno dato la loro vita per lo sviluppo di una comunità che deve conservare e onorare la loro indelebile memoria.
Quello è un sacrario e nessuno può impedirne la visita e l’omaggio perenne. E non parliamo solo di famiglie colpite da questi tragici lutti, ma di tutti i cittadini anziani che rammentano e giovani che apprendono e entrano nell’anima di San Benedetto anche attraverso luoghi simbolici come questo.
Persino i turisti ne avranno in conseguenza una chiave di lettura sbagliata della città , perché , passando davanti alle lapidi, vivrebbero veramente il sacrificio che costa il piatto di pesce che si apprestano a consumare e che San Benedetto non è solo la città delle Palme, vissuta superficialmente come “divertimentificio” ma una vera città di mare fatta di lavoro, di storia della pesca e di vite spese per avere la città di oggi.
Insomma noi consigliamo di riflettere sul ruolo del porto perché nella crisi di questa attività, con la moria di imbarcazioni e di addetti , forse è il caso di proteggere l’identità marinara profonda e favorire la partecipazione cittadina alla vita del Mare e per il Mare.
Questo ci interessa come Istituto che si occupa da mezzo secolo della conservazione e tutela della civiltà marinara e dei luoghi che ne sono simbolo.
*Presidente Circolo dei Sambenedettesi