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PAUSA CAFFE’ | Benedetta Trevisani: “Che esperienza insegnare in Pakistan”

Per quindici anni presidente del Circolo dei Sambenedettesi: “L’opera che mi inorgoglisce di più è il Monumento ai Caduti e Dispersi del mare dell'artista Paolo Annibali”
Pubblicato il 3 Novembre 2023

SAN BENEDETTO DEL TRONTO. Presidente onorario del Circolo dei Sambenedettesi, la professoressa Benedetta Trevisani si racconta.

Professoressa di materie letterarie, latino e greco nei licei di Fermo e di San Benedetto. Che ricordi ha di quel periodo?

Nella seconda metà degli anni Settanta, quando ho iniziato ad insegnare materie letterarie, dapprima nel triennio del liceo classico di Fermo, poi del liceo scientifico di San Benedetto, ero molto giovane.  In particolare erano anni in cui gli studenti delle superiori risentivano ancora del clima del periodo appena trascorso, caratterizzato dalle contestazioni studentesche.  Tuttavia, anche grazie alla loro disponibilità, ho potuto stabilire un rapporto tra studente e docente improntato alla collaborazione e al rispetto reciproco. Ancora adesso, quando capita di incontrarsi a distanza di tanti anni, ci sono da entrambe le parti sincere manifestazioni di stima e di affetto.

Lei ha insegnato anche in una scuola sulle rive dell’Indo, in Pakistan teatro di continui scontri.  Che rapporto aveva instaurato con le sue studentesse e studenti?

Appena laureata in Lettere classiche all’Università di Bologna ho raggiunto in Pakistan mio marito, che lavorava per l’Impregilo nel villaggio destinato ai lavoratori convenuti con le loro famiglie da varie parti del mondo per la costruzione di un’enorme diga sul fiume Indo. Ho insegnato per un paio di anni ai ragazzini delle medie nel settore italiano della scuola appositamente organizzata; ed è qui che è nato mio figlio Michele, un’esperienza di cui parlo nel libro “Michele e la Luna”, recentemente pubblicato da Infinito Edizioni. I miei alunni del Tarbela li ho poi persi di vista, ma anche quella è stata un’esperienza molto formativa per me.

Le ha scritto libri di narrativa, anche per ragazzi. Il suo recente romanzo s’intitola “Giuseppe nei tempi del mare”. Il mare è un elemento ricorrente nella sua vita: figlia e nipote di marinai.

Sì, il mare appartiene alla mia storia e non solo come paesaggio quotidianamente presente ai miei occhi. E’ una realtà profondamente interiorizzata per la mia discendenza da uomini e donne di mare che hanno vissuto nei diversi ambiti marinareschi esperienze e situazioni, a volte anche molto difficili perché segnate dai lutti dei naufragi.  Esperienze che in ogni caso hanno insegnato a sopravvivere nelle tempeste della vita.

Lei è laureata in lettere classiche all’università di Bologna. Che studentessa è stata?

Premetto innanzitutto che il mio approdo alla laurea in Lettere classiche non è stato preordinato dall’inizio in famiglia come meta programmata, ma è scaturito da una serie di circostanze del tutto casuali.  In ogni caso sono stata una studentessa consapevole e, per così dire, autosufficiente nel senso che, anche in qualche occasionale momento di insicurezza o di disimpegno, sono riuscita a percorrere la mia strada senza grandi problemi, anzi con risultati abbastanza positivi.

Presidente emerito del “Circolo dei sambenedettesi”, una realtà che per tanti anni ha presieduto. Qual è l’iniziativa della quale va più orgogliosa?

Sono stata presidente del Circolo dei Sambenedettesi per ben quindici anni, un tempo molto lungo animato da tante iniziative che hanno dato stimoli a me e raccolto intorno al Circolo consensi e partecipazione. Il merito va anche e soprattutto alle tante persone che hanno fattivamente collaborato offrendo idee e lavoro per la riuscita degli eventi.  Primo tra tutti il compianto maresciallo Breccia.  Oltre a questo rapporto dialettico con la città che si è via via rinsaldato, l’opera di cui vado orgogliosa per il suo significato intrinseco e per la capacità di sfidare i tempi è il “Monumento ai Caduti e Dispersi del mare” realizzato dall’artista sambenedettese Paolo Annibali. Il monumento, inaugurato nel 1997 sulla banchina Malfizia, sta lì come un saluto beneaugurante alle barche che quotidianamente partono dal porto per le operazioni di pesca e per accoglierle poi al ritorno con il frutto del faticoso lavoro dei marinai. Da qui il suo nome: “Il mare, il ritorno”

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