SAN BENEDETTO DEL TRONTO. Il palazzetto dello sport di San Benedetto ha ospitato i funerali dello storico allenatore di pugilato, il Maestro Kaflot. Kabunda Kamanga per tutti Kaflot era una istituzione nel mondo della boxe regionale, un maestro di vita prima che di pugilato per generazioni di giovani, già una leggenda vivente.
Il Maestro per eccellenza, a detta di tutti, non c’è ragazzo, da quarant’anni a questa parte, che non sia stato segnato dalla sua personalità istrionica. «Ha regalato a tutti noi un’illusione, un sogno, ha acceso in noi il fuoco della passione per il pugilato certo ma per la vita, per il sacrificio, la sofferenza degli allenamenti infiniti, sudore e sangue fino allo stremo, ci ha trasmesso la forza di non arrendersi mai, di non abbassare mai la testa e dire: “è finita!” neanche quando si sta molto male, neanche quando si sta per morire – Questo dicono i suoi ragazzi di lui – Non c’è pugile o aspirante pugile sambenedettese che non sia stato forgiato da lui, raccoglieva ragazzi e ne faceva dei guerrieri non solo sul ring».
Commovente il ricordo del suo amico fraterno Meda Mudimbi che ha rammentato di quando da ragazzini, insieme all’amico Patrizio Sumbu Kalambay, campione mondiale dei pesi medi nel 1987, lasciarono il Congo e i loro affetti per arrivare in Italia, erano molto giovani ma già dei combattenti perché “se nasci in Africa devi per forza imparare a combattere per non soccombere” – spiegava Mudimbi – salutandolo e ringraziandolo per aver importato da noi lo stile del pugilato africano. Luigi Cava invece ha sottolineato l’eccezionalità della sua personalità originale ed esaltante, avallando la frase dello striscione che i suoi ragazzi hanno fatto per lui: “Onore al solo ed unico Maestro!”.
Degno di nota anche l’intervento del suo primo allievo, figlio acquisito, ex pugile professionista Simone Cannelli, presente nel momento del suo trapasso che assicura essere stato sereno. Ha ricordato il suo grande cuore che a volte sapeva anche essere duro “ma alla fine la sua durezza si è sciolta e forse l’ultimo insegnamento che ci ha dato è stato proprio questo che la durezza spesso nella vita non serve” ha detto Cannelli rivolgendosi ai suoi numerosi belli e forti figli.
Commovente poi il pensiero del campione italiano dei supermedi Roberto Bassi, quasi un dialogo intimo tra lui e il suo primissimo Maestro, un personale conto in sospeso tra loro che pesava come un macigno ma che si è dissolto in quel momento che risuonava di spirituale.
Doveroso poi il saluto del presidente del comitato Marche della Federboxe, Luciano Romanella che oltre a rappresentare l’intera comunità pugilistica regionale ha ricordato commosso l’abbraccio come ultimo saluto che il Maestro Kaflot gli fece chiamandolo per la prima volta: “Presidente”. La città di San Benedetto del Tronto ha perso un grande Maestro, una guida, un faro per molti giovani, la palestra De Panicis del Palazzetto dello Sport “B.Speca” si è spenta e tutti hanno avuto la sensazione della fine di un’era.