SAN BENEDETTO DEL TRONTO. Una passione per il mare che la accompagna fin dall’infanzia perché, come spiega lei stessa, “se sei nata a San Benedetto non puoi non avere questo amore”.
Martina Capriotti è arrivata fino alla Cnn, che l’ha coinvolta di recente in un documentario dedicato al problema delle microplastiche in mare. Ma prima di giungere a quel traguardo, Martina Capriotti ha collezionato decine di altre esperienze, che l’hanno portata arricchire in maniera corposa il suo curriculum.
Classe 1987, dopo la laurea magistrale in Biologia marina e il dottorato di ricerca in Scienze della Vita e della Salute presso l’Università di Camerino, Martina Capriotti ha vinto la borsa di studio di National Geographic e Sky Ocean Rescue, studiando l’inquinamento da microplastiche associato alla contaminazione chimica nel Mare Adriatico.
“Sono una national geographic explorer – dice – non lavoro per loro, ma è una qualifica che mi hanno riconosciuto. In questo momento sono assegnista di ricerca all’Unicam Urdis, l’Unità di ricerca e didattica di San Benedetto e faccio ricerca e didattica nel laboratorio del professor Francesco Palermo e Gilberto Mosconi”.
La passione
L’avvicinamento al mondo marino avvenne per la prima volta a 16 anni: “Approfondii questo mio interessamento per il mare svolgendo un corso di salvataggio e subacquea. Ottenni il primo brevetto di bagnina e tutt’oggi faccio volontariato e insegno salvamento acquatico nel tempo libero nella Fisa. Grazie a questi corsi cominciai a vedere il mare da altri punti di vista”.
Fa ancora immersioni?
“Sì, per piacere e per lavoro. Quando vai sott’acqua per la prima volta scopri un mondo magico, anche se nel nostro mare la visibilità non è un granché. Però a ridosso delle scogliere c’è tanta vita, è molto affascinante.
Tanta bellezza, ma pure molta sporcizia, immagino.
“Esatto. Ed è stato quello il fattore che mi ha spinto a fare qualcosa per salvaguardare l’ambiente marino. Tutte le mie tesi di laurea e di dottorato si sono concentrate proprio sull’inquinamento marino”.
Anche Papa Francesco si è a più riprese interessato all’argomento. Quanto è importante godere di un testimonial così importante ed influente?
“Più personaggi di spessore parlando del tema e più possiamo ingrandire e sensibilizzare la comunità. E’ bellissimo parlare di ciò che fanno i pescatori, tuttavia sono convinta che la responsabilità sia anche del singolo cittadino nella vita quotidiana. E’ importante che ognuno di noi faccia il suo piccolo a casa sua”.
Che impatto ha l’inquinamento delle microplastiche nel mare Adriatico?
“Il problema è abbastanza vasto e comprende varie forme di inquinamento. La plastica monouso è spesso quella più presente, sia in mare che spiaggiata. Personalmente credo molto nei bambini, hanno una mente aperta e se crescono con una certa mentalità potranno diventare adulti più consapevoli. In tal senso, faccio molta educazione ambientale e nel video della Cnn lo faccio vedere”.
Qual è l’aspetto che, nel corso delle tue ricerche, l’ha stupita di più?
“Il mare Adriatico è molto chiuso e ha la tendenza ad accumulare l’inquinamento, quindi non sono rimasta tanto stupita. Un dettaglio che mi ha colpito nei miei lavori è stato trovare a largo un maggior numero di microplastiche rispetto alle zone vicine alla costa. E’ un dato interessante che purtroppo non ho potuto approfondire, perché dopo quella ricerca volai negli Usa e studiai ad un progetto diverso. Ora che sono rientrata potrei continuare quanto iniziato tempo fa”.
Come è nata la collaborazione con la Cnn?
“Ho ricevuto un messaggio dalla Cnn nel quale mi informavano che cercavano uno scienziato-ricercatore che studiasse le microplastiche e ho accettato il loro invito. Il loro intento era quello di creare un video che spiegasse il problema”.
E la Samsung che ruolo ha?
“L’azienda sta promuovendo un filtro da applicare alle lavatrici. Spesso abbiamo a che fare con capi sintetici, non naturali e difficilmente degradabili. Questo prodotto è capace di trattenere le microfibre che si sviluppano durante i lavaggi. Sia chiaro, nel doc io non promuovo quel prodotto, ma nel documentario cerco di portare semplicemente la mia esperienza”.
Quando lo avete girato?
“Ad ottobre. La troupe è venuta a San Benedetto e ha girato le scene in mare e in città, spostandosi tra Paese Alto, spiaggia, Sentina e gli interni dell’Università di Camerino”.
Che tipo di diffusione avrà?
“Il video si sta già diffondendo sulle piattaforme, ma ho ricevuto chiamate da Canada e Stati Uniti da parte di amici che mi hanno visto in tv. Questo significa che sta girando sui vari canali televisivi. A questo si aggiungono le pagine social, Youtube e il sito della stessa Cnn”.
Da piccola guardava programmi di divulgazione scientifica?
“Ero parecchio curiosa, guardavo i documentari di National Geographic e i programmi di Piero Angela. Inoltre, leggevo riviste scientifiche. Ma l’amore per la natura me l’hanno trasmesso in primis i miei genitori”.
Ha lavorato per tre anni negli Usa all’Universitá del Connecticut e poi è rientrata in Italia. Mi viene in mente “Quo vado”, film che evidenzia il rientro traumatico in patria che subisce un ricercatore italiano. E’ stato così anche per te?
“Diciamo che Checco Zalone non ha tutti i torti (ride, ndr). Però io volevo rientrare in Italia fin dall’inizio. Quella negli Usa è stata un’esperienza, ma volevo fare ricerca qui. Se ce ne andiamo tutti, l’Italia perde i suoi valori scientifici. Io mi ritengo una piccola pedina, ci mancherebbe, ma volevo dare il mio contributo. Non lo nego, le differenze ci sono, ma sapevo cosa mi aspettava. L’attenzione alla ricerca c’è anche da noi”.
Tra i tanti incarichi accumulati in questi anni spicca pure quello di docente presso l’Università di Zhengzhou, partner di Unicam.
“Sì, ma non sono mai stata fisicamente in Cina. Nel primo anno ho insegnato da remoto, ma tra pochi mesi partirò per tenere le lezioni in presenza. Non mi terrà fuori molto, l’organizzazione è stata pianificata in modo da concentrare tutti gli impegni”.