SAN BENEDETTO DEL TRONTO
Il rintocco non si sentiva bene. O meglio, si sentiva proprio male quando, nel 1847, in concomitanza con la decisione di montare un orologio sulla Torre dei Gualtieri che dominava l’allora Piazza del Belvedere, furono installate due campane collegate proprio al meccanismo che muoveva le lancette. Ma quella più grande, quella che batteva le ore, emetteva un suono strano, quasi afono. Così il consiglio comunale decise di stanziare dei fondi per sostituirla. Allo stanziamento del Comune si aggiunse anche l’intervento dei pescatori. Una trentina di loro si autotassò per tre anni. “Pagarono trimestralmente – spiega lo storico Giuseppe Merlini – 200 scudi all’anno”.
Così fu dato l’incarico a due fratelli campanari provenienti dalla Marca Alta, dall’area del pesarese, che fusero una nuova campana. I due artigiani però non dovevano aver fatto un grande lavoro. “Il metallo utilizzato – continua Merlini – non sembrava essere puro e il suono non era armonico. Nella parte interna iniziarono ben presto a presentarsi delle lesioni tanto che nel marzo del 1852 la campana si ruppe del tutto“.
Nel luglio 1853 si procedette così a rifondere la campana. Un “bestione” di 6400 libbre che, per la sua imponenza, venne ribattezzato dai sambenedettesi “Lu Campanò”, soprannome che in poco tempo finì per identificare l’intera struttura del Torrione. Per la cronaca, dopo qualche anno, si ruppe anche la campana più piccola, quella che batteva i quarti d’ora che fu ripristinata da due fratelli campanari di Montedinove, Raffaele e Pasquale Pasqualini. “Su questa campana – afferma Merlini – doveva essere impresso un motto, o meglio la formula liberatoria: “a peste fame et bello libera nos Domine” (Oh Signore, liberaci dalla peste, dalla fame e dalla guerra)”.