Negli ultimi giorni, San Benedetto del Tronto è stata scossa da due episodi di violenza che hanno riacceso il dibattito sulla sicurezza e sul senso civico. L’aggressione a una poliziotta, costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico, e la rissa in pieno centro che ha portato al ferimento di un giovane, hanno sollevato interrogativi tra i cittadini.
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un nostro lettore, che si interroga sulle possibili responsabilità della politica, delle istituzioni e delle famiglie. A seguire, la risposta del direttore de La Nuova Riviera, che riflette sul tema e sulle sue molteplici sfaccettature.
Egregio Direttore,
Mi permetto di scrivere questa lettera dopo aver appreso dei recenti episodi di violenza che hanno sconvolto la nostra città, tra cui l’aggressione a morsi ai danni di una poliziotta, e la rissa che ha coinvolto un ventiduenne, accoltellato durante un tafferuglio nel centro di San Benedetto del Tronto. Questi fatti, che si sono verificati a distanza ravvicinata, non possono non suscitare riflessioni e domande riguardo ciò che sta accadendo alla nostra comunità.
Quello che mi sorprende e mi preoccupa maggiormente è l’escalation di violenza che sembra ormai essere all’ordine del giorno. Come cittadini, ci sentiamo sempre più vulnerabili, non solo di fronte a crimini di natura predatoria, ma anche in situazioni quotidiane che dovrebbero essere, al contrario, di protezione e sicurezza. La poliziotta aggredita mentre svolgeva il suo lavoro e il giovane ferito durante una rissa sono il sintomo di un malessere sociale profondo che non può più essere ignorato.
A questo punto, ci si chiede: quali sono le cause di questa crescente violenza? È possibile che esistano delle responsabilità da parte della politica, delle istituzioni locali, delle scuole, e delle famiglie? La domanda è provocatoria, ma credo che meriti una risposta collettiva. In primo luogo, la politica locale, attraverso l’amministrazione comunale, sta facendo abbastanza per garantire la sicurezza dei cittadini e prevenire questi episodi? Il nostro territorio, così come tanti altri, sta soffrendo una carenza di risorse destinate alla sicurezza e alla prevenzione, e mi chiedo se il nostro impegno civico sia sufficiente per contrastare il crescente disagio sociale.
In secondo luogo, mi sembra che ci sia una carenza di valori che pervade non solo i singoli individui, ma anche le famiglie. L’educazione, il rispetto delle regole e l’importanza della legalità sembrano essere concetti che, purtroppo, non vengono trasmessi con la dovuta attenzione alle nuove generazioni. Questo non giustifica in alcun modo atti di violenza, ma rende necessario un esame di coscienza collettivo, che veda come protagonisti non solo le forze dell’ordine, ma tutti noi, ciascuno nel proprio ruolo.
Infine, il governo ha un ruolo fondamentale. È evidente che le risorse destinate alla sicurezza pubblica non siano sufficienti e che la lotta alla criminalità e alla violenza richieda un intervento più incisivo. Ma non basta aumentare le pene o potenziare le forze di polizia: è necessario un vero e proprio piano di prevenzione che coinvolga le scuole, le famiglie, i luoghi di lavoro e le stesse istituzioni locali.
In conclusione, mi auguro che questi episodi non vengano archiviati come incidenti isolati, ma che siano l’occasione per un ripensamento globale sulle cause di tale violenza e sul nostro impegno come comunità. Non è più possibile voltarsi dall’altra parte e sperare che sia solo una fase passeggera. Il futuro della nostra città, e più in generale del nostro paese, dipende anche dalla nostra capacità di reagire insieme, con responsabilità e determinazione.
Distinti saluti,
Domenico R.
La risposta del direttore
Gentile Domenico,
la sua riflessione è legittima e pone domande che tutti, in una comunità come la nostra, dovrebbero porsi. Senza dubbio, quanto accaduto a San Benedetto nelle ultime ore è inaccettabile e va condannato in toto. Nessuno può voltarsi dall’altra parte davanti a episodi così gravi, e il dibattito che si apre intorno a questi eventi deve essere collettivo, serio e scevro da strumentalizzazioni.
Le due vicende che hanno scosso la nostra città, tuttavia, vanno distinte. L’aggressione alla poliziotta, che oggi si sottopone a un intervento chirurgico, riguarda prima di tutto la garanzia della legalità (non la provenienza etnica dell’aggressore, dove qualcuno vorrebbe invece portarci). Il punto è un altro: lo Stato ha il dovere di garantire sicurezza. E quando non lo fa in maniera adeguata, sono le istituzioni locali che dovrebbero alzare la voce. Ma, per essere sinceri, a San Benedetto io vedo più proclami che azioni concrete.
Diverso è il discorso sulla rissa in centro, che ha visto coinvolti decine di giovani e si è conclusa con un accoltellamento. È un episodio grave, certo, ma non è un fenomeno nuovo. Sarebbe un errore lasciarsi andare a facili allarmismi e credere che viviamo in un’epoca di violenza senza precedenti. Forse oggi ci sembra così perché la tecnologia ci permette di conoscere ogni fatto quasi in tempo reale, amplificando la percezione di insicurezza. Ma la violenza, anche quella giovanile, non nasce oggi.
Già molti anni fa, il sociologo Stanley Cohen, con il suo concetto di “panico morale”, spiegava come la società tenda periodicamente a percepire gruppi di persone, in questo caso i giovani, come portatori di disordine e a interpretarli come segno di un’imminente crisi dei valori. Eppure, i problemi di delinquenza giovanile e di violenza non sono mai stati prerogativa di un’epoca specifica. Si tratta di fenomeni ricorrenti che, in forme diverse, hanno sempre accompagnato il nostro tessuto sociale.
Ogni generazione ha avuto le sue ombre. Certo, è facile individuare responsabilità nella scuola, nelle famiglie, nelle istituzioni. Magari è vero, magari esiste una colpa diffusa. Magari no. E quando si parla di valori, come lei giustamente sottolinea, non si può cadere in generalizzazioni. Ogni generazione ha avuto le sue contraddizioni, ma anche i suoi esempi positivi. Oggi come ieri esistono giovani che si accoltellano per motivi futili, ma esistono, oggi come ieri, anche ragazzi che fanno volontariato, che si impegnano, che credono nella solidarietà e si battono per un mondo migliore. E a volte vengono bistrattati, dalle vecchie “leve”, sui social, tanto quanto quelli che si accoltellano. Non dimentichiamolo.
Infine, più che di un piano di prevenzione, forse dovremmo parlare di educazione. Ma l’educazione non è solo quella che riceviamo dall’alto, in famiglia o a scuola. È anche quella che assorbiamo dal nostro contesto sociale, dagli amici, dall’ambiente in cui viviamo. Se anche tra coetanei si imparasse il rispetto e la responsabilità, forse avremmo una società più solida. Forse è proprio su questo che dovremmo concentrarci. Ma probabilmente è pura utopia.
Grazie per la sua lettera e per la riflessione che ha voluto condividere.
Cordiali saluti,
Emidio Lattanzi