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La città e la Sambenedettese dovrebbero tenere viva la memoria di Nazzareno Torquati

Il coraggio, la lungimiranza e lo spirito battagliero dovrebbero essere un esempio per chi ha a cuore questo territorio
Pubblicato il 19 Agosto 2024

di Emidio Lattanzi

Ogni parte di questa città dovrebbe ricordare in qualche modo Nazzareno Torquati. Perché è stato un esempio. Perché dovrà essere un esempio. Nazzareno è stato un combattente. Un combattente vero. Uno che sapeva benissimo quali fossero le battaglie da portare avanti. E anche come.

E le ha vissute tutte in prima linea le sue battaglie. Perché “Zzarè” non era uno che restava indietro, non era uno che si arrendeva. Non si è arreso all’incidente che lo ha costretto su una sedia a rotelle trent’anni fa. Per quello ha avuto nuove e sempre più dure battaglie da combattere. Prima contro i divieti di fronte ai quali chi ha una disabilità è costretto a soccombere quotidianamente, e poi negli ultimi anni, contro i malanni che lo avevano costretto a ricoveri e interventi. Ma senza perdere la voglia di portare avanti nuove iniziative. Senza dimenticare quella rabbia di fronte ai diritti calpestati che ha accompagnato la sua vita.

Dire che ha lavorato per il “bene” della città sarebbe marginale, riduttivo e forse neppure tanto vero. Nazzareno ha sempre lavorato per la crescita di San Benedetto e del territorio. A volte in maniera quasi utopistica. Ma sempre con un chiaro disegno in mente. Sapeva benissimo quale traguardo voleva raggiungere. E lo voleva raggiungere, a differenza di tanti altri, mettendoci la faccia.

Non ricordo di averlo mai visto tirarsi indietro anche di fronte a situazioni scomode. Non ha mai fatto la “gola profonda” con me, e credo neppure con i miei colleghi. Nazzareno le sue denunce le ha sempre fatte mettendoci un nome, un cognome e un volto. I suoi.

E anche le sue analisi delle varie situazioni. Analisi sempre lucide e dirette, mai timorose e se necessario lontane dal politicamente corretto. Tanto che chi, qualche tempo fa, ha provato a zittirlo, ha dovuto farlo con il favore delle tenebre. Nella penombra della vigliaccheria.

Salvò la Samb, insieme a Paolo Perazzoli. Loro due la salvarono insieme a pochi altri. Mentre in tanti girarono le spalle. Qualcuno anche in extremis, all’ultimo momento, lasciò Torquati e chi lo seguì col cerino in mano. Eppure riuscirono ugualmente a portare a casa il risultato e a garantire la sopravvivenza della società rossoblu. Rischiando anche grosso, come quando si organizzò la famosa partita tra Juventus e Bayern Monaco per sostenere la causa.

Ha avuto coraggio. Sempre. E’ stato un esempio di coraggio. E se mi è concesso parlare in prima persona (cosa che a differenza di altri raramente faccio) è stato un esempio anche per me che l’ho conosciuto come “politico” da giovane “esordiente” giornalista. Oggi, posso dire di aver perso un amico.

La città, proprio per questo suo coraggio, per la sua lungimiranza, per le intuizioni e per l’esempio che una figura come la sua dovrebbe rappresentare, ha l’obbligo di ricordarlo negli anni a venire.

Anche la Sambenedettese dovrebbe ricordare l’uomo che la salvò dal baratro. Salutando, come si deve, il presidente della rinascita e omaggiando la sua figura alla prima uscita ufficiale di questa stagione sportiva.

Ai figli Matteo e Francesco e alla moglie Luisa vada l’abbraccio del sottoscritto e di tutta la nostra redazione.