SAN BENEDETTO DEL TRONTO. Dottor Patrizio Marcelli, dopo un periodo di servizio pediatrico all’ospedale di Giulianova e presso i consultori di Giulianova e San Benedetto nel 1981 apre lo studio pediatrico di via Veneto in Riviera. Nel corso di questo lungo periodo ha visitato centinaia di pazienti.
Ce n’è uno al quale è rimasto particolarmente legato?
Ho visitato decine di migliaia di pazienti, nell’arco di 47 anni di attività come pediatra, quasi gli abitanti di una città come San Benedetto. A volte incontro genitori di ex pazienti che riconosco prontamente, anche se sono trascorsi molti decenni dall’ultima volta che ci siamo visti. Più difficile è riconoscere i bambini che ho visitato, la loro fisionomia è cambiata in maniera evidente. Guardo con stupore il loro cambiamento fisico ma a tutti chiedo, quando ho la fortuna di rivederli, notizie sulla loro vita e sui loro interessi. Dalle risposte capisco che la loro maturità è spesso molto precoce e lo si sente dai loro progetti per il futuro, sono molto seri e soprattutto speranzosi. Mia figlia ogni qualvolta le capita di conoscere un mio ex paziente, mi interroga se lo ricordo, a lei rispondo sempre con precisione, e lo colloco anche nel tempo e nei luoghi. Sono legato a loro indistintamente perché abbiamo fatto un percorso di vita in comune, il più delle volte certamente bello, altre volte impegnativo per le malattie che hanno sofferto. Ricordo con affetto anche le famiglie e soprattutto i bambini più fragili a livello fisico e, o psicologico. Conoscere la famiglia è fondamentale per poterla affiancare e per avere e dare quell’aiuto e quella fiducia reciproche che sono necessarie nel difficile percorso di prevenzione e di cura dell’infanzia. Dall’anno 2005 circa, nel SSN sono intervenuti molti cambiamenti e questo ha trasformato molto i rapporti tra medico e famiglia del paziente. Se ricordare è un bene, un segno di funzionalità cerebrale, a volte questi ricordi sono funestati dal dolore quando apprendo che in questi nuclei familiari sono intervenuti gravi avvenimenti dolorosi. Con alcuni bambini ho intessuto negli anni un rapporto che è andato oltre il periodo in cui li ho avuti come pazienti. A molti ho consigliato, soprattutto a quelli che si mostravano più curiosi o più attenti durante le mie visite pediatriche, di intraprendere gli studi scientifici che necessitano di applicazione e sacrificio. Con mio piacere quattro di questi pazienti, a distanza di 10 e più anni, mi hanno dedicato un ringraziamento nelle loro tesi di laurea e questo mi ha profondamente commosso fino alle lacrime.
Laureato a 25 anni all’università di Medicina di Bologna ha poi conseguito tre specializzazioni in Pediatria, Scienza dell’alimentazione e Malattie infettive. Che ricordi conserva di questi anni universitari?
Le rispondo indirettamente. Quando mio figlio ha conseguito la specializzazione in medicina legale gli ho detto: “Adesso hai finito di ‘divertirti’, inizia il lavoro che, anche se lo hai scelto, condizionerà la tua vita”. Infatti, nei tempi universitari si entra nel grande mondo della Scienza in maniera distaccata, quasi asettica. Poi, negli anni successivi di lavoro, nella messa in pratica delle conoscenze, ci si accorge che non tutto è come ci si aspettava e l’impegno lavorativo coinvolge sempre la nostra vita personale e familiare. Non parlo poi dell’attitudine che nessuna scuola può insegnare e sulla quale ci sarebbe da discutere a lungo. Considero comunque lo studio un dono, e gli anni dell’Università sono i più’ appaganti in tutti i sensi. Coniugano gioventù e conoscenza, sono purtroppo irripetibili.
A cinque anni legge il primo libro, “Natura Viva”, attraverso queste pagine scopre il grande mondo degli animali. Tra i suoi preferiti c’è il cane bassotto, al quale dedica due libri, e una ricca collezione. Perché proprio il bassotto?
E’ un caso. Il bassotto è entrato in casa una trentina di anni fa, senza tante pretese, doveva affiancare un cane più grande rimasto senza compagno. Da lì, per le sue doti, il cane bassotto, anzi i cani bassotto perché ne ho avuti contemporaneamente sei, è poi diventato l’unico cane della mia famiglia. In seguito il primo bassotto è stato proclamato Campione assoluto e sociale, così come gli altri che si sono distinti nelle manifestazioni cinofile. L’opportunità di apprezzare le sue grandi doti di compagno dell’uomo mi ha stimolato a conoscere la storia che questa razza canina ha “scritto” fin dalla sua selezione che risale al 1860. Poi il passo è stato breve: ho pubblicato due libri e costituito una collezione di oggetti, come dipinti, sculture, ceramiche, documenti cartacei, libri, giocattoli, foto, cartoline postali, che riguardano l’iconografia del bassotto che è sterminata. Anche il collezionare è figlio della conoscenza. Gli oggetti sono strettamente legati a persone, a storie, a simboli, a eventi e tanto altro. Le “cose” hanno sempre una loro Storia da scoprire, quasi una vita interiore. Questo è molto vero per il cane bassotto che oltre ad avere antenati millenari è stato ed è uno tra i cani più’ amati al mondo. In merito a questa collezione ho tanti progetti tra cui scrivere altri libri nei quali, come è già stato negli altri due, pubblicare notizie o immagini inedite sulla base delle quali documentare e proporre nuovi e sconosciuti percorsi. Come per tutti gli interessi che nutro, il bassotto potrebbe essere considerato anche un mezzo, un motivo per allargare i propri confini sociali e geografici. Alludo alla frequentazione di Mostre canine e prove di lavoro nazionali e internazionali, alla conoscenza di nuovi luoghi e culture, alla possibilità di avere nuove amicizie, al riallacciare rapporti sopiti con persone che familiarizzano con gli animali. Il primo libro (tutti e due hanno testi in italiano e inglese) è presente per consultazione nella biblioteca del Museum Of The Dog di New York, il più importante museo al mondo del cane. Il secondo libro mi è stato commissionato dall’ABC, Amici Bassotto Club, associazione cinofila di razza associata all’Enci, in occasione del suo 60esimo anniversario della costituzione, anche qui pubblico centinaia di immagini e “storie”.
Era poco più che un ragazzino quando inizia a frequentare le botteghe di artisti locali come Marcello Sgattoni, Luciano Mascitti e Mario Lupo. E’ così che iniziò ad appassionarsi anche alla calcografia, al bonsai, all’oreficeria e alla ceramica che lo hanno portato ad allestire nel tempo mostre importanti, dal Museo malacologico di Cupra alla Biennale di Venezia. Importante fu anche l’influenza di suo padre, anche lui grande appassionato di pittura.
La ceramica è una delle mie attività principali. Parlo di attività e non di passatempo, hobby. Ritengo che il rapporto che deve intercorrere con queste attività (ne coltivo svariate, e da diversi anni ho realizzato e curo un orto sinergico) devono essere improntate prevalentemente alla conoscenza che è la spinta che induce ad allargare le nostre vedute sull’umanità e sul mondo. Esiste un rapporto diretto tra fare e sapere che devono intrecciarsi in ogni espressione e attività. La coltivazione di un semplice orto può essere un piccolo concreto esempio di economia circolare che si sintetizza nella riduzione delle materie prime, nel riutilizzo e nel riciclo, da applicare nel nostro quotidiano. In un semplice orto, decantato da tutti i grandi pensatori di ogni tempo, latitudine e culture, si possono introdurre problematiche sempre più pressanti e attuali come la biodiversità. Anche questa, con una visione pediatrica, è certamente “prevenzione e cura” del benessere ed anche educazione alla ecologia, insegnamenti certamente più assimilabili se condivisi in età pediatrica. Per questo ho intrapreso dei percorsi didattici sull’orto rivolti ai miei conoscenti, piccoli e grandi. Nelle mie attività c’è sempre una ricerca del bello e dell’utile.
Come ama trascorrere il suo tempo quando è libero da impegni professionali?
Come ho detto ho svariati interessi, alcuni sono ciclici nel tempo, stagionali. Incontro quasi tutti i giorni, soprattutto d’estate, una dolce signora quasi novantenne, che conosce bene le mie frenetiche attività e il mio orto sinergico, che mi si rivolge sempre in questo modo: “Dotto’, repusate”, (Dottore, riposati). Sembra mia madre che fin da bambino mi diceva: “…e vaste, stitte ferme”, (…e basta, stai fermo).