SAN BENEDETTO DEL TRONTO – C’è un tesoro in fondo al mare, a pochi metri dalla foce del Tronto. Una nave lunga sessanta metri affondata a pochi passi dalla spiaggia della Sentina che, all’insaputa di quasi tutti, custodisce, da più di un secolo e mezzo, il relitto di una pirofregata di epoca borbonica affondata, a causa del maltempo, nel lontano 1860 proprio di fronte alla costa sambenedettese.
Una storia che pochi conoscono in Riviera e della quale, fino a qualche anno fa, si aveva notizia soltanto attraverso le pagine dei libri di storia ma che ora ha le sue prove concrete. Le immagini scattate da una fotocamera subacquea proprio a ridosso della foce del Tronto che ritraggono quel che resta della pirofregata a ruote costruita nel 1856 e affondata, a causa di un violento temporale e (stando alle cronache dell’epoca) all’imperizia del comandante quattro anni più tardi, nel febbraio 1860.
Sotto la superficie dell’acqua, a circa una decina di metri di profondità c’è il relitto ed ora ci sono anche le foto che immortalano la situazione relativa a quello che è rimasto di una nave utilizzata per il trasporto di alcuni lavoratori, saccheggiato subito dopo il naufragio da alcuni abitanti del luogo e poi, nella prima metà del Novecento, ulteriormente depredato del rame che ricopriva la chiglia. Poi abbandonata a sé stessa e lasciata, per decenni, in fondo al mare a due passi dalla spiaggia e dalla foce del fiume che segna il confine tra marche e Abruzzo. Non risultano vittime in quel naufragio dal momento che l’eccessiva vicinanza con la terraferma dovrebbe aver consentito a tutti di mettersi in salvo.
«Le cronache dell’epoca – spiega Luigi Anelli, che ha rintracciato tutta la documentazione relativa alla storia e alle vicende che hanno portato al naufragio di quell’imbarcazione – raccontano come il comandante della nave, Napoleone Scrugli da Tropea che decise, con il maltempo, di mantenere la nave sottocosta quando è invece cosa risaputa che con un fortunale occorre navigare lontano dalla riva». Era il 10 febbraio 1860, la nave si incagliò. L’equpaggio riuscì a salvarsi ma malgrado un primo intervento di alleggerimento la Torquato Tasso alcuni giorni dopo finì per affondare definitivamente».
Gli anni sono passati e la barca, tra i saccheggi vari e l’azione dell’acqua dolce proveniente dal fiume che ha logorato lo scafo di legno, anche in virtù del rame asportato, si è trasformata in uno spettrale relitto che custodisce però importanti testimonianze della tecnologia dell’epoca. «In fondo al mare – spiega Anelli – deve esserci ancora il motore di spinta, un vero e proprio gioiello di tecnologia per quegli anni. Si tratta di un motore frutto dell’ingegneria inglese realizzato a Portici che rappresenterebbe un pezzo da museo». Per la verità la Torquato Tasso, o meglio una parte di essa, è già in un museo. Nel naufragio del 1860 fu infatti salvata la polena, vale a dire la decorazione lignea che si trovava sulla prua della nave. Il pezzo fregiato si trova a Milano, all’interno del Museo Nazionale della Tecnica e della Scienza. La strada che abbia fatto per arrivare fino alle sale del museo dopo il naufragio avvenuto un secolo e mezzo fa di fronte alla spiaggia della Sentina è tutt’ora avvolto dal mistero.