SAN BENEDETTO DEL TRONTO. “Uno solo gridava sul campo, Caposciutti. Era rotolato a terra, si era subito alzato gridando: “Arbitro, l’ho colpito, l’ho colpito io” ed appariva in preda a una grave crisi nervosa». Sono le parole di Paolo Pfifiner, l’arbitro della sezione torinese che il 14 febbraio 1965 fu mandato al Ballarin ad arbitrare Sambenedettese-Ascoli. La prima gara calcistica che costò la vita ad un giocatore italiano. Perché quello fu il giorno in cui morì Roberto Strulli, portiere, estremo difensore bianconero, colpito involontariamente alla testa da Alfiero Caposciutti, attaccante rossoblu.
In occasione del 58esimo anniversario di quella disgrazia Walter Veltroni ha raggiunto proprio Caposciutti, toscano di origine ma sambenedettese di adozione, per affrontare quella tristissima vicenda sulle pagine del Corriere della Sera. “C’era un clima infuocato, come sempre – ha spiegato Caposciutti al giornalista -. Il nostro derby è tra i più sentiti. Ma mentre i tifosi sono da sempre divisi dall’odio sportivo, noi giocatori condividiamo un lavoro, non solo una passione. Ricordo che quel giorno a centrocampo, prima del fischio d’inizio, parlavo con Roberto Strulli. Ci dicemmo che a fine partita saremmo scappati subito. Io dovevo tornare con mio padre in Toscana e lui doveva correre da sua moglie, che aspettava un bambino. Non c’era antagonismo tra le persone”.

L’ex attaccante (che aveva cominciato la sua carriera agonistica come portiere) ricorda che alla fine del primo tempo la Samb stava vincendo per 2 a 0. Poi nella ripresa l’arbitro concesse una punizione. Strulli intercettò la palla ma non la trattenne. La palla rimase a metà strada tra Strulli, che voleva afferrarla, e Caposciutti, che voleva calciarla in porta. “Quando ho capito che lui stava per arrivarmi addosso – continua Caposciutti nel suo racconto al Corriere della Sera – ho cercato di fermarmi. Ma lui, per sfortuna, mise una mano all’esterno delle mie gambe e una all’interno. Sbatté la mascella sul mio ginocchio piegato e perse i sensi subito”.
Roberto Strulli morì diverse ore dopo, in ospedale. Anche se fin da subito fu chiaro che per lui non c’era nulla da fare. La moglie aspettava un bambino e, quando nacque, fu chiamato Roberto, come il padre. “C’era tanta rabbia. Ai funerali di Strulli i tifosi inferociti avevano buttato a terra la corona della Sambenedettese e nei giorni successivi a dei venditori di pesce di San Benedetto era stato impedito di fare il loro lavoro”.
Anni dopo l’ex calciatore rossoblu incontrò i familiari del portiere. “Arrivai a casa Strulli. Mi aspettavano sulla soglia la moglie e il figlio che mi abbracciarono, prima lei e poi lui. Mi dissero le parole che mi hanno tolto definitivamente un peso
dal cuore, un peso enorme: “Non abbiamo mai pensato che tu fossi responsabile di quello che è successo”.
Anche il figlio di Strulli, Roberto, accetta di parlare con Veltroni: “«Fu uno scontro del tutto fortuito – ha detto al Corriere della Sera – Caposciutti non ha responsabilità. Lo abbiamo incontrato, è una bella persona. Il campo era allentato, è stato un incidente di gioco, uno spaventoso incidente di gioco. Io sono nato dopo, non l’ho mai conosciuto. Ma tutti mi hanno detto che era una persona solare, aperta, allegra”.