La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato da un imprenditore dell’entroterra, confermando la condanna per bancarotta fraudolenta pronunciata dalla Corte d’Appello di Perugia.
L’uomo aveva contestato la decisione, sostenendo l’erronea valutazione delle prove e chiedendo la dichiarazione di prescrizione dei reati, ma la Suprema Corte ha rigettato ogni sua richiesta.
L’azienda individuale dell’imprenditore era stata dichiarata fallita il nel 2011 dal Tribunale di Fermo. A seguito delle indagini, gli erano stati contestati due reati di bancarotta fraudolenta: bancarotta documentale, per l’irregolare tenuta dei libri contabili, e bancarotta distrattiva, per aver prelevato oltre cinquantamila euro dai conti aziendali e aver ceduto beni alla società di un suo congiunto per più di 10mila euro, senza che il denaro risultasse nei bilanci.
Nel suo ricorso, l’imprenditore aveva sollevato tre motivi principali. Primo, i prelievi effettuati avrebbero potuto rappresentare compensi legittimi per la sua attività. Secondo, la bancarotta documentale non sarebbe stata provata, poiché la documentazione era stata consegnata. Terzo, si richiedeva la dichiarazione di prescrizione, sostenendo che i termini fossero scaduti.
Tuttavia, la Cassazione ha respinto tutte le contestazioni. Ha confermato che la prescrizione non è ancora maturata, poiché nel 2013 era stata disposta una sospensione di oltre trecento giorni, facendo slittare il termine di scadenza. Inoltre, ha ribadito la fondatezza della sentenza d’Appello, evidenziando la mancata tracciabilità dei fondi prelevati, il carattere fittizio della cessione dei beni e l’incompletezza della documentazione contabile, che impediva una chiara ricostruzione del patrimonio aziendale.
Alla luce di queste considerazioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. L’imprenditore è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e di una multa di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende.