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È morto Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate Rosse

Il decesso risale all’11 aprile, ma la notizia è emersa solo nelle ultime ore
Pubblicato il 26 Aprile 2025

Alberto Franceschini, tra i principali fondatori delle Brigate Rosse, è morto all’età di 78 anni. Nato a Reggio Emilia in una famiglia di tradizione comunista, Franceschini aveva visto nella sua origine un naturale approdo alla militanza. Secondo la sua stessa visione, il suo percorso nelle Br rappresentava una continuità con la lotta partigiana, un “filo rosso” che non si era mai interrotto.

Fu arrestato e condannato per numerosi atti di terrorismo, tra cui il duplice omicidio di due militanti del Msi a Padova e il sequestro del giudice Mario Sossi a Genova nel 1974. In totale, la giustizia lo condannò a oltre sessant’anni di carcere, anche se la pena venne successivamente ridotta. Tra i reati riconosciuti: duplice omicidio, sequestro di persona, costituzione di banda armata, oltraggio a pubblico ufficiale e rivolta carceraria.

Entrato in politica giovanissimo con la Fgci, Franceschini aveva abbandonato il Partito Comunista dopo un duro scontro durante una manifestazione contro la base Nato di Rimini nel 1969. Poco dopo, iniziò la clandestinità, diventando il primo brigatista ufficialmente latitante. Nel 1970, insieme a Renato Curcio, fondò le Brigate Rosse a Milano.

La sua attività nelle carceri speciali è stata particolarmente intensa: Franceschini, dopo la scissione tra le Br di Mario Moretti e il gruppo di Giovanni Senzani, aderì al Partito Guerriglia, proseguendo la sua militanza dietro le sbarre. Nel periodo della detenzione fu anche uno dei principali promotori della “caccia agli infami”, partecipando a esecuzioni e minacce contro presunti collaboratori della giustizia, come nel caso del filosofo Toni Negri, minacciato nel carcere di Palmi.

Nel 1982, pur senza rinnegare la sua militanza, Franceschini prese le distanze dalla lotta armata e dalla violenza politica, esprimendo forme di pentimento. Dal 1987 iniziò a ottenere i primi permessi premio, fino ad arrivare alla definitiva liberazione nel 1992, dopo 18 anni di reclusione. Successivamente, lavorò per l’Arci Ora d’Aria.

Nel febbraio 2024, a pochi mesi dalla sua morte, era tornato a far parlare di sé: identificato a Milano mentre partecipava a una commemorazione per Alexei Navalny nei giardini dedicati ad Anna Politkovskaya, aveva attirato nuove polemiche sul suo passato.