ANCONA. Un allevatore di uccelli da richiamo residente in provincia di Ancona è stato denunciato per maltrattamento di animali, detenzione e commercio illegale di fauna selvatica, contraffazione di sigilli di Stato e frode nell’esercizio del commercio. Le accuse derivano da un’indagine dei Carabinieri forestali del Nipaaf e del Nucleo Carabinieri Cites di Ancona, che hanno condotto perquisizioni e ispezioni presso il domicilio dell’allevatore e di cinque cacciatori residenti nelle regioni Marche e Umbria.
L’indagine, delegata dalla Procura della Repubblica di Ancona, ha rivelato pratiche illegali di manipolazione degli anelli identificativi degli uccelli, utilizzati per falsificare l’origine degli esemplari.
Dettagli dell’Indagine e Accuse
L’allevatore deteneva 43 uccelli da richiamo, appartenenti alla famiglia dei turdidi (tordi, merli e cesene), in condizioni che violavano gravemente le norme sul benessere animale. Le ispezioni, condotte con l’ausilio di un medico veterinario specializzato, hanno evidenziato che molti di questi volatili erano costretti a vivere in gabbie di dimensioni non idonee, contaminate da escrementi, senza possibilità di volare. In tali condizioni, gli uccelli subivano gravi stress fisici e psicologici, aggravati dalla manipolazione degli anelli inamovibili posti sulle zampe. Questi anelli, considerati veri e propri sigilli di Stato, erano stati contraffatti e allargati per essere adattati agli uccelli catturati in natura, spacciandoli per esemplari nati in cattività.
Oltre ai maltrattamenti e alla detenzione inadeguata, l’allevatore è stato anche accusato di aver venduto illegalmente 41 uccelli da richiamo a cinque cacciatori residenti nelle province di Ancona e Perugia. Questi cacciatori, apparentemente ignari dell’origine illegale degli uccelli, sono risultati coinvolti nell’acquisto di fauna selvatica in violazione della legge n.157/1992 sulla protezione della fauna selvatica omeoterma.
Il Giro d’Affari e le Sanzioni Previste
L’indagine ha stimato che il traffico illecito generasse un giro d’affari di circa 20.000 euro all’anno, considerando che l’allevatore commerciava circa 200 esemplari a un prezzo compreso tra i 50 e i 200 euro ciascuno. Gli uccelli da richiamo, utilizzati principalmente per la caccia, sono molto richiesti sul mercato nero, dove esemplari di qualità possono raggiungere cifre elevate.
Per le accuse di maltrattamento di animali, detenzione e commercio illegale di fauna selvatica, contraffazione di sigilli di Stato e frode nell’esercizio del commercio, l’allevatore rischia pene che vanno da uno a cinque anni di reclusione. La contraffazione degli anelli identificativi e la vendita di animali con documentazione falsa rappresentano violazioni gravi della legge, considerate reati penali con sanzioni severe.
Il Crimine del Traffico di Uccelli da Richiamo in Italia
Il traffico di uccelli da richiamo per uso venatorio è uno dei principali crimini riguardanti la fauna selvatica in Italia. Molti animali vengono illegalmente catturati in natura e successivamente commercializzati come se fossero nati in cattività. Questo tipo di attività non solo rappresenta una grave violazione delle normative italiane ed europee sulla protezione degli animali, ma contribuisce anche alla diminuzione delle popolazioni di specie selvatiche. Gli anelli contraffatti sono uno strumento chiave utilizzato dai trafficanti per aggirare i controlli delle autorità e per dare una parvenza di legalità alle loro operazioni illecite.
I Carabinieri forestali, con il loro intervento, hanno non solo fermato un traffico illecito di fauna selvatica, ma anche sensibilizzato l’opinione pubblica sulla gravità di questi crimini e sull’importanza di proteggere la fauna selvatica italiana. L’operazione rappresenta un passo significativo nella lotta contro il commercio illegale di animali e nella salvaguardia delle specie protette.