FANO. Settembre di due anni fa: una tranquilla serata tra amiche si è trasformata in un incubo per tre giovani donne, tutte di età compresa tra i 23 e i 26 anni, che dopo aver consumato del tataki di tonno presso un noto ristorante della zona, sono finite in ospedale a causa di una grave intossicazione alimentare.
Dieci ragazze erano a cena insieme quella sera, ma solo tre di loro avevano ordinato il tataki di tonno, un piatto giapponese molto in voga. Il tataki è una preparazione che prevede una leggera marinatura del pesce in salsa di soia, seguito da una cottura minima su una piastra rovente, che lascia l’interno del pesce praticamente crudo. Questo metodo di preparazione richiede che il pesce sia conservato in modo ottimale, per garantire sicurezza e digeribilità.
I sintomi dell’intossicazione sono iniziati poco dopo aver consumato il piatto: le tre giovani hanno avvertito vampate di calore, arrossamento del viso, comparsa di macchie sulle braccia e nausea. Preoccupate, hanno deciso di uscire a prendere aria, ma la situazione è peggiorata rapidamente, con battiti cardiaci accelerati e pressione sanguigna in picchiata. Le ragazze sono state accompagnate dalle amiche al pronto soccorso dell’ospedale Santa Croce di Fano, dove i medici hanno rilevato valori enzimatici anomali e diagnosticato la sindrome sgombroide.
Questa sindrome, provocata dall’ingestione di alte dosi di istamina, è causata dalla decomposizione di pesci come tonno, sgombro, sarde e acciughe, che se non conservati adeguatamente, sviluppano questa sostanza tossica. Le tre vittime dell’intossicazione sono state ricoverate nel reparto di cardiologia per sei giorni, durante i quali hanno ricevuto trattamenti per stabilizzare la situazione. Una volta dimesse, ai loro cuori è stato prescritto riposo assoluto, con la raccomandazione di evitare sforzi fisici per diverse settimane.
Le ragazze, convinte della gravità della situazione, hanno denunciato l’accaduto, facendo finire a processo i due titolari del ristorante con le accuse di lesioni colpose e commercio di sostanze alimentari nocive. Il problema risiederebbe nella cattiva conservazione del tonno, che ha portato all’elevata concentrazione di istamina nel pesce servito.
L’udienza, che si è tenuta ieri, ha visto la costituzione delle parti civili, con il giudice che ha ammesso la possibilità di una “messa alla prova” per i ristoratori, ovvero l’estinzione del reato tramite lavori socialmente utili. Tuttavia, ciò sarà possibile solo se i titolari del ristorante risarciranno le vittime con una cifra ancora da stabilire.