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Tragedia sul Gran Sasso, parla il responsabile del Soccorso Alpino: “Le abbiamo provate tutte per salvarli”

Alessandro Marucci ha voluto chiarire che né il guasto alla funivia di Campo Imperatore né la necessità di far arrivare il sonar dal Nord Italia hanno influito sull’esito delle operazioni
Pubblicato il 28 Dicembre 2024

GROTTAMMARE. Cinque giorni di lotta contro il tempo, il ghiaccio, il vento e la neve. Cinque giorni di speranza, preoccupazione e infine dolore.



Così si è consumata la tragedia sul Gran Sasso, dove Cristian Gualdi e Luca Perazzini, due alpinisti romagnoli esperti, sono stati trovati senza vita nella valle dell’Inferno, un canalone impervio e remoto.

Una missione impossibile
A raccontare quei momenti drammatici è Alessandro Marucci, capo stazione del Soccorso Alpino dell’Aquila e docente universitario, che ha coordinato le operazioni. “Le abbiamo provate tutte, ma non è stato possibile salvarli,” ha dichiarato al Corriere della Sera. I soccorsi sono stati ostacolati da condizioni meteorologiche estreme: venti a 150 chilometri orari, visibilità zero e temperature glaciali hanno reso impossibile avvicinarsi agli alpinisti in pericolo.

Domenica, quando la bufera ha iniziato a colpire la zona, i soccorritori si trovavano a Campo Imperatore, a circa cinque chilometri dal luogo dell’incidente. Un primo tentativo di raggiungere Cristian e Luca è stato interrotto dalla furia del vento e dalle condizioni proibitive del terreno.

Le ricerche e il ritrovamento
Nonostante le difficoltà, le squadre di terra e due elicotteri hanno continuato le ricerche, sfruttando ogni possibile finestra di miglioramento del meteo. Alla fine, l’elicottero del 118 è riuscito a individuare il corpo di Cristian, mentre per Luca è stato necessario l’utilizzo di sonde di carbonio, strumenti cruciali per rintracciare persone sommerse dalla neve.

“Un tecnico ha toccato il corpo a circa cinquanta metri di profondità,” spiega Marucci, raccontando la complessità dell’operazione.

L’incidente e le cause
L’ipotesi più probabile è che i due alpinisti siano scivolati durante una discesa, complice il forte vento, il ghiaccio e la poca neve. Non erano legati in cordata, ma sono caduti insieme nello stesso punto.

L’ultima comunicazione con loro risale a domenica pomeriggio: “Abbiamo freddo, venite presto,” avevano detto. Un segnale di disperazione che si è spento la sera stessa, quando il telefono ha cessato di trasmettere.

Le difficoltà tecniche
Marucci ha voluto chiarire che né il guasto alla funivia di Campo Imperatore né la necessità di far arrivare il sonar dal Nord Italia hanno influito sull’esito delle operazioni. “L’incidente all’impianto non ha inciso, e il sonar è stato utilizzato al momento opportuno,” ha precisato.

Il dolore di una comunità
Resta un senso di impotenza e una profonda tristezza per la perdita di due vite, sottolinea Marucci: “Penso al dolore di quelle famiglie… abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità, ma il maltempo non ci ha dato tregua.”

Questa tragedia ricorda i rischi della montagna, anche per i più esperti, e l’impegno straordinario di chi dedica la propria vita al soccorso in condizioni estreme. La valle dell’Inferno si è trasformata nel teatro di una lotta impari contro la natura, dove il coraggio umano si è scontrato con l’implacabilità degli elementi.